domenica 11 dicembre 2011

2 quadri, due donne (sul mio blog EvElinArte)

Clicca qui per vedere i miei due nuovi quadri pubblicati nel blog EvElinArte

lunedì 14 novembre 2011

Il Mercato del contadino

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giovedì 10 novembre 2011

EvElinArte, ancora blog!

Nuovo post: il mio blog artistico EvElinArte

sabato 22 ottobre 2011

Imbianchini (sul nuovo blog)

Per leggere il nuovo post clicca qui
oppure vai al nuovo blog Agave Palermo

lunedì 10 ottobre 2011

lunedì 22 agosto 2011

Blog-trasloco

Adesso siamo qui

Visita il nuovo Agave Blog, clicca qui

domenica 14 agosto 2011

Ultimo post, trasloco

Ultimo post, trasloco!

Questo è l’ultimo post dell’ Agave Palermo Blog. Ecco l’ho detto e non è stato facile perchè questo blog esiste da tre anni e oramai mi sono affezionata, è nato in uno dei periodi più brutti e difficili della mia vita e mi ha aiutata a reagire; ha accompagnato l’ultima fase del b&b Agave, la sua chiusura e questo stranissimo periodo di trasloco a Terrasini, un periodo di transizione e di poche certezze. Ed adesso si interrompe qui, ma visto che “niente finisce, ma tutto si trasforma” l’Agave blog prende una nuova vita, cambia un po’ (e nemmeno troppo) e rinasce su una nuova piattaforma!

Ci eravate cascati, pensavate di esservi liberati di me e dell’Agave! Ma come potevo farlo! Sto solo traslocando e apportando dei cambiamenti.

Ma allora si potrebbe dire “molto rumore per nulla” ( e siamo già alla seconda citazione...) ed invece no, avevo bisogno di un cambiamento, di nuovi stimoli, insomma un nuovo taglio di capelli virtuale!

In primo luogo non potevo più sopportare l’account del blog con scritto “bed and breakfast”, pur avendo amato questa attività e fase della vita, ormai è conclusa, almeno per ora, e quando una cosa finisce, finisce, e poi creava fraintendimenti nei lettori, magari qualcuno pensava volessi solo fare pubblicità a un b&b ed è paradossale se questo nemmeno esiste più!

Allora si potrebbe dire: “ma perchè continuare a chiamarlo Agave”? Ma la ragione centrale è che tutti quelli che ci conoscono (noi e il blog) ci identificano con questa bella pianta, Agave è il mio mondo, non è stato semplicemente un b&b, ma un modo di vivere, e poi chissà, magari un giorno trasformerò pure il nome, ma facciamo un cambiamento alla volta!

Altra questione, perchè cambiare piattaforma e passare su wordpress? Adesso direi che è stata una follia, una complicazione bella e buona, mi ha fatto impazzire, però è stato uno stimolo in più, la voglia di conoscere qualcosa di nuovo, se dovevo cambiare blog volevo almeno imparare qualcosa.

Insomma spero che alla fine vi piaccia. Fatemi sapere, aspetto la vostra opinione.

Il nuovo Agave Palermo è simile al vecchio (fortuna pure che esiste il servizio “importa”, così non ho perso nulla!!!), ha solo una grafica e struttura diversa, parlerà di Palermo, della sua cucina, ma anche un po’ più del mio mondo, avrò una sezione per i miei racconti, i miei aneddoti e le mie ricette schifose... (quelle che invento io).

Per favore, non abbandonatemi, venite a trovarmi, e agli amici blogger, che ho trascurato in questo periodo (prima per la poca voglia di stare al pc, poi per il totale assorbimento su wordpress) dico che adesso sarò più presente e li ringrazio perchè non possono nemmeno immaginare quanto sono stati importanti per me, nei momenti difficili, con le loro frasi, commenti (e anche qualche e-mail).

Ed allora vi aspetto tutti al nuovo Agave Palermo, ci conto!!!

p.s. Buon Ferragosto!

lunedì 25 luglio 2011

Polpette di melanzane origliate al mare



E’ giusto origliare ciò che si dicono tra loro i bagnanti vicini di ombrellone al mare?

Denota forse un alto “senso di intricanza” (mettere il naso negli affari altrui) o di “malo chi ffari”(non aver nulla di interessante da fare nella vita)? E’ forse la reazione a tutto il gossip, i dossieraggi, le intercettazioni, i grandifratelli etc di cui siamo ormai spettatori inconsapevoli quotidianamente?


Cosa sarà mai?


Io, quando mi ritrovo “involontariamente” coinvolta in certe attività di “osservazione” di altri esseri umani, mi giustifico dicendo a me stessa e a chi mi sta vicino, che è una attitudine all’antropologia, studio del comportamento umano!


Ora non è che passi il mio tempo a squadrare gli altri, ma se faccio la fila alla posta o al super mercato, o ancor meglio se sono sdraiata in spiaggia a prendere il sole (cosa che tra l’altro non sopporto), e sento qualcuno a me vicino che parla, non riesco del tutto ad autoisolarmi, ed alla fine non posso fare a meno di ascoltare i discorsi altrui (d’altra parte trattasi di chiacchierate pubbliche) ed a rilevare soprattutto gli argomenti che mi fanno sorridere, frasi tipicamente palermitane, discorsi comici, o anche racconti di ordinaria umanità, storie di zitiamenti (fidanzamenti) o di divorzi, parole di vanto o litigi condominiali, insomma, l’umanità tutta è molto interessante ed anche divertente!


Ma sta volta ad “origliare” in spiaggia non sono stata io, bensì mia madre (buon sangue non mente!), infatti mentre io facevo un bel bagno ristoratore, lei si era appena coricata sulla sua sdraio, dopo aver soccorso una donna punta da un’ape, e visto che non riesce a stare ferma senza far nulla nemmeno per cinque minuti, cosa fa: ascolta due signore sdraiate proprio a due centimetri di distanza (s-vantaggio delle spiagge pubbliche). Ma di cosa potevano parlare due signore abbronzatissime, con costume dorato e maculato, capelli perfettamente pettinati e trucco impeccabile (ma come facevano a mantenersi così in ordine al mare?)? Ma ovviamente di... cucina!!! E chi non ama parlare di cibo? Non ci sono differenze sociali, di genere, di linea, di età, di religione che tengano, a tutti prima o poi verrà voglia di raccontare una ricetta o di pensare a un buon piatto succulento!


Così torno sul mio telo mare e mia madre mi dice: “sai quante buone ricette conosceva quella signora con le trecce?” e comincia ad elencarmele una ad una, ma la più dettagliata era una ricetta tipicamente siciliana, le polpette di melanzane, ma con una genialata della signora trecciuta (forse non l’ha inventata lei, ma io non l’avevo mai sentito dire prima): cuocere la melanzana intera al microonde, per spellarla più facilmente e non farle assorbire troppa acqua (facendola bollire).

Insomma come poteva mia madre non ascoltare tutte quelle ottime ricettine? E così ecco riportata fedelmente la ricetta della signora del mare. Dopo qualche giorno mia madre diceva già: “la signora mi ha detto...” ed io: “ti ha detto?” e lei: “si vabè, nel senso che lo diceva alla sua amica...”.

Ricetta: polpette di melanzane della signora con le trecce


ingredienti: una melanzana, un uovo, basilico (o menta), due fette di pane raffermo, tre cucchiai di formaggio grattugiato, pan grattato (quanto basta), uno spicchio d’aglio, dei tocchetti di ricotta infornata (questa è una mia aggiunta).


Passata di pomodoro fresco.


Lavorazione: lavare e asciugare la melanzana, metterla nel microonde alla massima potenza per circa dieci minuti, ad un certo punto si sentirà una sorta di esplosione (almeno a me è capitato così), ma non demordere, è solo la melanzana che si va cuocendo. Quando è morbida si può cominciare a spellarla e ridurla in poltiglia. Aggiungere il pane raffermo inumidito con dell’acqua e tutti gli atri ingredienti, se l’impasto è troppo morbido si potrà aggiungere del pangrattato. Formare delle polpettine e l’ideale sarebbe friggerle in olio bollente, io però volevo essere dietetica ed allora ho messo le palline in una teglia coperta di carta forno unta di olio evo e cotto al forno. Il risultato è buono, ma ovviamente le polpette fritte sono 1000 volte più squisite. Ho servito le polpettine sulla passata di pomodoro fresco (condita solo con del basilico), e devo dire che erano proprio gustose, grazie signora con le trecce!

giovedì 14 luglio 2011

Crostata di “gelo di mellone” con caldo afoso



Cosa ho deciso di fare in una normale giornata di luglio, ore 15 circa, temperatura all’ombra di 35 gradi (in cucina, di 50 gradi), umidità a livelli

inimmaginabili?


Preparare uno dei miei dolci preferiti: la crostata di “gelo di mellone” .



E’ pur vero che il termine gelo farebbe pensare ad una piacevole frescura, ma questa, nel caso del “gelo di mellone”, c’è solo nell’atto di mangiarlo e non di certo nel cucinarlo, soprattutto quando il caldo è insostenibile anche prima di aver acceso i fornelli.


Purtroppo però ogni tanto si scatena dentro di me il raptus della “cuciniera masochista”, alterego della “lagnusia acuta” che generalmente mi caratterizza, e così, da che non faccio assolutamente nulla, scelgo dei momenti impensabili, umanamente insostenibili per cominciare a cucinare piatti che avrebbero bisogno di tempo e rilassatezza, ma soprattutto di un clima più accettabile. Ripensandoci la mia forse è solo una questione genetica, visto che mia nonna in questi giorni (lei però ha il raptus perenne) ha cucinato peperoni ripieni, milincianeddi ammuttunati, sarde a beccafico etc. Cosa sarà mai in confronto il mio “gelo di mellone”, anche se prepararlo significa stare davanti una pentola piena di liquido bollente da mescolare in continuazione?



E insomma oltre al raptus ed al gene di nonna Ina, c’è pure il fattore palermitanità. Infatti io, come tutti i palermitani, adoro il gelo di mellone, in ogni sua forma o versione, amo quel suo profumo speziato, amo gli aromi che emana, amo gelsomino e cannella, amo la consistenza morbida ed il suo sapore delicato ma fortemente originale, così di tanto in tanto quando vedo un’anguria, non riesco a resistere alla tentazione, e se ho l’ispirazione la trasformo immediatamente in gelo.



In un post di qualche tempo fa ho descritto l’amore che i palermitani riservano all’anguria, che mangiano in chioschi e chioschetti, che portano al mare e che d’estate non manca mai nelle tavolate con amici e parenti. Durante il Festino di Santa Rosalia, usano poi nobilitare l’apprezzato frutto rendendolo un dolce raffinato e delizioso, in onore della santa e soprattutto del proprio palato. E così visto che è tempo di festino io ho preparato un dolce a base di “gelo di mellone”, una bella crostata (di solito è più facile trovarla nei banchi delle bellissime pasticcerie palermitane, in formato mignon).


Il tutto (caldo a parte) in realtà è molto semplice, basta preparare il gelo (con un litro di succo di anguria ho fatto una crostata e tre coppette di gelo) ed una normale pasta frolla, io ho usato questa ricetta classica:


Ingredienti

Per la pasta frolla: 250 g. di farina; 2 tuorli d’uovo; 100 g. di zucchero; 100 g. di burro, 1 tazzina di latte (o liquore di proprio gradimento).

Per il gelo: 1 litro di succo di anguria, 80gr di amido, 200gr di zucchero, 1 bastoncino di cannella, 1 cucchiaio di fori di gelsomino, gocce di cioccolato, pistacchi (se possibile).


lavorazione:

preparare la pasta frolla mescolando bene gli ingredienti, ottenuto l’impasto della giusta consistenza, formare una palla, avvolgerla in pellicola e riporla per un’ora in frigo.

Imburrare e spolverare di farina una teglia.


Foderare la teglia, compresi i bordi, con la frolla, decorare i bordi con una forchetta. Bucherellare la pasta frolla con la forchetta, e poggiarvi sopra un disco di carta da forno da ricoprire con del riso (o fagioli secchi) per non far gonfiare la pasta frolla. Far riscaldare il forno a 180°, e infornare per circa 40 minuti.

Togliere dal forno e far raffreddare. Quando è fredda si può togliere dalla teglia e metterla in un piatto.


Preparare il gelo: Togliere la buccia e i semi neri e passare l’anguria al passa-pomodoro fino ad ottenere un litro di succo. Mettere in infusione i fiori di gelsomino in poca acqua calda. Versare in una pentola il succo, aggiungere l’amido e farlo sciogliere a freddo. Aggiungere lo zucchero e cannella, mettere sul fuoco e mescolare, portare al bollore, quando si addensa spegnere il fuoco e aggiungere l’acqua aromatizzata dai gelsomini e mescolare. Quando è tiepido si potranno aggiungere le gocce di coccolato.




A questo punto quando il gelo sarà tiepido si potrà versare sulla frolla. Sarebbe ideale decorare il tutto con le gocce di cioccolata, con i gelsomini e della granella di pistacchi (che io però non avevo). A questo punto far raffreddare e riporre in frigo per solidificare il tutto.


Bisogna dire che ci sono due diverse versioni di crostata al gelo. Quella che ho preparato in questo caso prevede che la crema di gelo non venga poi cotta al forno, ma messa sulla frolla già cotta, nella seconda versione invece la crema di gelo verrà messa sulla frolla cruda e successivamente cotta al forno (in questo caso le decorazioni si potranno fare con la pasta frolla cruda). Io credo che entrambe le versioni siano ottime e da provare.


Infine degli ultimi ringraziamenti a chi, se pur ignaro, mi ha permesso di preparare questo dolce (e di conseguenza anche di scrivere questo post): il fruttivendolo Orazio che ci ha venduto alla cieca una anguria di 5 kg che è risultata gustosissima (evitandoci di utilizzare tutti quei metodi improbabili che servono a testare la dolcezza del frutto), la mia piantina di gelsomino che malgrado il caldo e la mia incuria ha prodotto dei fiorellini semimoribondi che però hanno dato al gelo l’aroma misterioso ed esotico di questo fiore così piccolo ma così unico. Ed infine le zanzare che spesso mi assalgono in cucina (chissà perchè poi), che questa volta mi hanno risparmiata soprattutto durante l’atto di eliminazione dei semini neri dall’anguria, azione durante la quale divento particolarmente tesa e concentrata (e lì le punture di zanzara sarebbero totalmente devastanti...).


Dopo di che cosa altro dire se non: “viva Palermo e viva Santa Rosalia!”

lunedì 4 luglio 2011

Pic-nic sul Lago Poma in stile palermitano doc



Cosa fare in una domenica assolata?
Si potrebbe andare al mare, ma c’è di certo troppa confusione, gente ammassata sulla spiaggia, ombrelloni ovunque, ragazzini che giocano con la palla (che al 90% finirà sulla mia testa), piedi del vicino di tovaglia (noi palermitani il telo mare lo chiamiamo così, forse perchè ossessionati dal cibo non solo di strada ma anche di sabbia) a due millimetri di distanza etc. Forse meglio optare per gli scogli, ma qui sono bellissimi ma tanto ripidi, prima di toccare l’acqua devi inerpicarti in rocce di ogni tipo, calarti giù come un alpino, “scalare i muri lisci” etc, e tutto ciò sotto il “pico” del sole di mezzogiorno (bè facciamo un pò tardi la domenica...), non mi pare il caso. Si potrebbe trovare un monte, ma io sento un bisogno atavico di vedere acqua, ed allora cosa c’è di meglio del ... lago?



Si potrebbe andare al lago di Poma, è abbastanza vicino, l’acqua ovviamente c’è e di sicuro sarà più rilassante e silenzioso della spiaggia.
A me piace tanto il rumore silenzioso del paesaggio lacustre, il fruscio delle canne sfiorate dal vento (soprattutto dopo aver letto il bellissimo romanzo della Deledda), lo scrosciare delle piccole onde, il canto degli uccelli...



Mi piace l’idea dl pic-nic sull’erba fresca, selvaggia, umida, mi piace stare a piedi nudi e mi piace osservare i bei panorami.



E lago sia!

Per arrivare al lago Poma da Terrasini, bisogna prima arrivare a Partinico.
Partinico è grande ma di indicazioni nemmeno l’ombra, fortuna che noi siciliani siamo socievoli e disposti ad aiutare, così troviamo un buon uomo e gli chiediamo: “scusi sa dov’è il Lago Poma?”.
Le cose sono due, o il nome “Poma” c’è scritto nelle cartine, ma in realtà nessuno lo conosce, o forse noi abbiamo trovato l’unico uomo di Partinico che non conosca il Lago di Poma, di fatto ci risponde stupito: “Che???” , “quali lago???” “un ci nn’è”.
Allora sconvolti all’idea che il lago sia scomparso improvvisamente, ci riprendiamo e diciamo: “forse il lago di San Giuseppe Iato ?” ed il buonuomo: “ah cierto, aviti a ghiri grittu di da e poi da, e poi da, e poi da...” insomma una volta chiarito l’arcano, si sbraccia come una hostess che spiega le procedure di salvataggio e ci spiega contento come arrivare al lago.

E’ ormai tardi quando arriviamo e quindi decidiamo di entrare nell’area attrezzata per non girare ancora troppo cercando le altre stradine d’ingresso.

Non ci sono troppe persone, due famigliole appena arrivate, sembra tranquillo.



Ci allontaniamo dalle panche e dai tavoli e andiamo proprio in riva al lago, e come piace a me, stendiamo sul prato un copriletto vecchio (lo so, lo so non è il classico plaid da pic-nic, ma è ciò che ho trovato all’ultimo momento) e cominciamo a mangiare la pizza che avevo portato (lo so, non è certo il classico menù da pic-nic in stile palermitano doc, ma questo avevamo a disposizione).



Quando il relax è ormai completo, la pancia piena, lo sciame di api sembra averci finalmente abbandonati, dei bellissimi cavalli nitriscono in lontananza, le fronde di un albero si muovono lentamente, si sentono piano anche i risolini di alcuni bimbi che giocano allegramente, tutto è lieto, tutto è placido, sento la voce di Massimo che sussurra: “quasi quasi mi addormento” e....

improvvisamente si scatena l’inferno, un frastuono esplode improvviso, sembra un tuono, sembra, sembra, sembra.... ma cos’è???

Sono effetti da palermitani doc.

Infatti a pochi metri da noi c’è una famiglia palermitana doc, impossibile per me, pure palermitana, non riconoscere l’accento (e poi noi palermitani ci facciamo riconoscere... ovunque!), che ha pensato bene di impiantare uno stereo gigante, quelli tipici degli anni ’80- ’90 che si trovavano nei salotti buoni delle famiglie, quelli grandi con il mobiluccio nero e le antine di vetro (con i pomelli dorati), a cui però erano attaccate due casse tipiche da concerto di piazza (alte quasi un metro). Lo stereo per funzionare era ovviamente attaccato abusivamente a qualche palo elettrico, e manovrato da un omone a petto nudo con panza pelosa e prominente. L’omone alza di botto il volume, sembra una discoteca, escono note sublimi accompagnate da parole altrettanto poetiche tipo: “annacati, annacati” (dondolati, dondolati) di non so quale canzone meravigliosa, e poi note latino americane sparate a tutto volume. Gli ucellini scappano via, e anche le api sussultano, i bimbi ballano con movimenti sconnessi. Gli adulti invece rimangono come in catalessi, forse allietati dalla musica o obnubilati dai tremila decibel, o storditi dalla quantità di cibo ingerita, rimangono serafici al loro posto, sorridenti, soddisfatti del loro stereo e della bella giornata.

Ecco, adesso arrabbiata per quell’imposizione li guardo, li osservo, e vedo tutto quel favoloso patrimonio di palermitanità...

Ci sono i "picciriddi ca juocano" (bambini che giocano), urlano, sono almeno una decina, in pantaloncini o in mutande e canottiera tipo anni ’60, uno tira le pietre ai cavalli, uno ha la testa tutta fasciata, gli altri ballano, corrono e si “strummuliano” a terra (fanno capriole come trottole).
Pi ci sono le mamme in fuseaux fucsia e ciabattine con gli strass, che si muovono rapide e servono le pietanze ai tavoli, ci sono le giovincelle con pancia di fuori e frangetta, c’è la donna incinta (perchè qui la natalità è sempre in crescita), ci sono pure due nannò (nonne) sotto un ombrellone impiantato appositamente per loro (anche se tutta la zona è alberata),



e gli uomini, che splendore! C’è quello panciuto dello stereo, poi c’è quello secco secco che si occupa “dell’arrostitura”, poi ce ne sono altri di varie età, tutti mostrano il loro petto villoso con orgoglio, si allietano a giocare a carte, bere birra e addentare puntine di maiale, ali di pollo, sasizza (salsiccia), stigghiole e quant’altro con foga. La loro tavola è imbandita a festa, ci sono bibite di ogni tipo, wow c’è pure la spuma, hanno tante borse frigo contenenti di tutto, e arrostiscono alla brace qualunque genere di cibo (animale e vegetale), che ormai noi, oltre che dalla musica, siamo avvolti anche dal fumo e non vediamo più nulla (altro che nebbia in val padana).

A quel punto comincio a ridere perchè, come si fa a resistere a tutto ciò? E poi bisogna ammetterlo, a noi improvvisatori di pic-nic, è stata data una vera lezione di stile, di stile palermitano doc, primi nel mondo a saper organizzare le scampagnate in ogni dettaglio!

Ora le possibilità sono diverse, o andare dai cari vicini di lago, con tono risoluto e dire: “scusate, ma vi sembra corretto dover mettere la musica così alta e tralasciamo tutto il resto?”, oppure, per non risultare provocatori parlando troppo “tischi toschi” (in perfetto italiano), si potrebbe dire con accento siculo: “ma scusassi, ci pari giustu ca m'ha sientiri a so musica puru iu?”, oppure più concilianti e bonari: “scusate, vi dispiacerebbe abbassare solo di un pochino il volume, se non vi disturba troppo però...” e la risposta sarebbe sempre la stessa : “ma chi minc.... vuoi!!!!”.

Parlando a gesti (perchè la musica è così forte che non riusciamo nemmeno a sentirci tra noi due), decidiamo di andar via, volevamo il relax, ci manca solo una sciarra (lite) e siamo a posto...

Ma il lago è grande, il lago è bello, il lago nasconde sempre tante sorprese....

venerdì 10 giugno 2011

I Tasciogatti 2, la saga continua...

Premessa: è da un bel po’ di tempo che non scrivo, c’è chi l’avrà notato, chi no.

Io l’ho notato perché mi dispiace sia non scrivere, che non passare dai cari amici blogger che di solito “vado a trovare” con tanto piacere.


Ma ogni tanto mi capita il blocco della blogger, e così non riuscendo a scegliere “l’ argomento” di cui scrivere , finisco per non stare per nulla al pc (escluso qualche giretto veloce per facebook ed il solito solitario di carte). Certo, credo che il mio blog, prima o poi subirà delle modifiche, perché scrivere della mia città, Palermo, senza abitarci e senza avere lo stimolo costante che mi davano gli ospiti del b&b (con le loro domande e le loro osservazioni), non mi sta risultando tanto facile.

Se poi di cibo devo trattare, ammetto pure di essere in uno di quei periodi in cui cucino non proprio alla palermitana, ma piuttosto alla discount (economico nella tasca e nel tempo di preparazione), insomma sono nella fase acuta delle spinacine surgelate, della pasta al tonno (in scatola), dei bastoncini di (forse) pesce (di marca ignota), del pesto (di tutto all’infuori che di basilico) etc….

Insomma non proprio l’ideale per un blog di cucina palermitana…


Se il blog subirà delle modifiche, avviserò voi cari lettori che sopportate le mie incostanze, intanto in questo post, scriverò di cose che poco c’entrano con Palermo (anche se...) e con la cucina siciliana, spero mi perdonerete.

Avevo cominciato la saga dei tasciogatti, un’ alternativa sicula doc agli aristogatti.

I tasciogatti sono dei gatti più o meno randagi che mi circondano da quando abito a Terrasini.


Tutto cominciò con il mio dolce Niki, ex-randagio ormai del tutto accasato, il gattino rosso o “gattocomunista” (molto in voga adesso che il vento sta cambiando, speriamo pure in Sicilia), subito nominato il “toco di Terrasini”, oggi anche detto il principino o “figlio di papà” per le sue nobili abitudini e per la sua pigrizia intensa.



E’ un “portatore sano di lagnusia” perché oltre a non far nulla per gran parte della giornata, induce anche me a non far nulla (non che ci volesse poi tanto…). Mio nonno avrebbe detto: “è un cani i gliardinu, un cuogghi e un fa cuogghiri” (è un cane di giardino, non raccoglie e non fa nemmeno raccogliere gli altri).



Niki è generoso con gli altri tasciogatti e ama socializzare tutti i suoi averi di “gatto privilegiato” della zona. Dopo averli invitati tutti in casa in una sorta di gatto-party a base di croccantini, patè e divano-dance, non si è dato per vinto. Avendoci costretto ad eliminare la porticina basculante e a creargli come rifugio, per quando noi siamo fuori casa, una “dependance esterna” in una ex doccia in muratura, ha subito pensato bene di trasformarla in un nido d’amore per sé e per la Nika,



la gattina ex bianca, una simil-duchessa dal colore ormai grigio topo, bruttina ed anche un po’ svampita (sembro proprio la più classica delle suocere!) e successivamente di donargliela del tutto.


Archiviata la doccia, il nuovo rifugio è una scatola con cuscino posta in balcone, ma anche quella ha deciso di condividerla con la dolce fidanzata.



Con lei, Niki passa tante ore,



le offre i suoi croccantini, cerca di farla entrare in casa nascondendosi subito dopo sotto una poltrona per non essere scoperto e rimproverato.

Il toco di Terrasini è proprio un tasciogatto palermitano doc, ovviamente va matto per la pasta con le sarde (!!!) ed ha anche l’abitudine di lasciare sempre l’ultimo boccone, come è tipico dei palermitani che lasciano sempre una piccola porzione sul piatto da portata. Mentre la Nika e gli altri tasciogatti, sono dei veri allafannati (affamati) che si fiondano sul cibo e lavano la ciotola meglio di una lavastoviglie.

Tre giorni fa, la gatta Nika ci ha portato una bella sorpresa, i tasciomicini.


Aveva un piccolo pancino e ultimamente è diventata secca, secca ed ecco presto capito il motivo. Li ha portati ad uno ad uno disperata, facendogli attraversare muretti e reti metalliche, alla fine li ha mostrati al loro papà adottivo, si, perché il toco di Terrasini nulla c’entra con la gravidanza, è ancora piccolo, però ha accolto bene i nuovi arrivati.


I piccoli però hanno una piccola infezione agli occhi, e così io e Massimo, due infermieri provetti, abbiamo cominciato a curarli a base di sciroppo antibiotico e pomatina, lavaggi con acqua e camomilla, insomma, una bella firnicìa (altra cosa a cui pensare)!!!


Insomma, i tasciogatti aumentano e speriamo possano guarire, se mai qualcuno fosse interessato a un tasciomicino è pregato di contattarci, cosa ci può essere di meglio di un gatto che con le sue coccole allieta le giornate e con la sua indipendenza ispira un senso di libertà? E se in più si tratta di un tasciogatto siculo doc, cos’ altro si può desiderare?


sabato 16 aprile 2011

Bosco di Bonifato, seconda gita ad Alcamo con cripta inquietante e “capitelli dell’homo sapiens”




La mia recente passione per la cittadina di Alcamo, ha trovato ulteriori conferme.

Avendo approfittato di un’ ulteriore soleggiata giornata, ho visitato il bosco del monte Bonifato, proprio a ridosso di Alcamo e non potevo non fare anche una tappa nel centro del bellissimo paese per ritrovare e fotografare i fantomatici capitelli “dell’homo sapiens” che, il gentilissimo signore che avevamo conosciuto la volta scorsa, ci aveva segnalato e che la mia fotocamera non era riuscita a immortalare per la mancanza di luce solare.



Questa seconda escursione mi ha fatto ancora di più affezionare ad Alcamo e ai suoi dintorni, ed è stata in più arricchita da uno stranissimo fenomeno atmosferico: la nebbia sul mare, che ha donato al panorama già splendido, un fascino particolare e un senso di mistero.



Un solo neo, non essere riuscita a raggiungere i ruderi del castello per i motivi che di seguito elencherò, fattore che pur negativo, riserva sempre un lato positivo, la necessità di un ritorno, ed una domanda “filosofica”: “perché le mie passeggiate sono sempre incompiute, riuscirò mai a trovare ciò che cerco?”. Filosofeggiamenti sulle passeggiate e sul senso della vita a parte, ecco a voi il bosco di Alcamo, mancante di castello, ma ricco di natura, aria pura e panorami affascinanti.



Questo bellissimo bosco è anche una riserva naturale protetta con alberi e animali rari, dove esistono i resti di un insediamento risalente all’età del ferro, che ovviamente io non ho trovato… Sulla sommità del monte c’è anche il castello del XIV secolo ed anche quello non l’ho trovato.

Adesso urgono delle spiegazioni per dire come mai dopo trenta kilometri di strada, dopo aver raggiunto un monte percorrendo un po’ di curve (non spiacevoli comunque) e fatto pure una scarpinata a piedi, non abbiamo trovato un castello con quattro torri. I fattori principali sono: la lagnusia, l’incapacità di orientamento, la timidezza, l’assenza di indicazioni.



In primo luogo è incredibile che in tutta la riserva non ci fosse un cartello in cui si indicasse esattamente dove ci trovassimo e che al centro di un bivio ci fosse un solo cartellino con disegnato un “castello” senza però una freccia che facesse capire in quale strada dovessimo andare, magari una freccia bella grande e chiara anche per due confusi (e non fusi) e disorientati come noi. Anche il fattore lagnusia ha avuto la sua parte: dopo aver percorso un pezzo di strada in ripida salita, ci siamo domandati: “e se non fosse questa la strada giusta, avrebbe senso faticare ancora per non trovare nulla?”. Di comune accordo, col fiatone e con veramente una scarsissimo senso atletico, siamo tornati indietro. Ovviamente solo dopo abbiamo scoperto che quella era la via giusta.



 Infine il fattore timidezza: c’erano infatti alcune persone non troppo distanti a cui poter chiedere informazioni, ma come si suol dire “ci pareva male”, ovvero non volevamo disturbare, ogni tanto qualcuno dice di noi: “sunnu privi” intendendo che siamo timidi e riservati, evvabbè!

Fatto sta che, castello e ruderi a parte, abbiamo fatto delle bellissime passeggiate nei viottoli alberati.



Ad un certo punto nel silenzio rasserenante del bosco abbiamo sentito delle voci, sempre più perplessi andavamo avanti, non si vedeva assolutamente nulla, ma le voci erano sempre più forti. Consapevoli di non aver bevuto e di non avere allucinazioni, abbiamo proseguito, fino a quando come per incanto, dal nulla, sono apparse circa cento persone che giocavano, urlavano, mangiavano e arrostivano in una zona attrezzata del bosco.



Poi in auto abbiamo continuato il percorso e trovato un altro spiazzo dove lasciare la macchina, li c’era il famoso bivio del castello. Abbiamo percorso un po’ di strada a piedi. I panorami erano fantastici, la nebbia che si vedeva dall’alto e che non lasciava intravedere il mare ed avvolgeva tutto col suo candore umido e teporoso, dava un fascino speciale. Solitamente dal monte Bonifato si possono vedere addirittura le isole di Ustica e di Marettimo, ma noi vedevamo solo la bella coltre di vaporose nuvole. Abbiamo poi saputo che quello strano fenomeno aveva reso difficile l’atterraggio di diversi aerei a Punta Raisi.



Dopo aver respirato la nostra dose di aria pura, abbiamo deciso di tornare ad Alcamo per prendere un caffè e trovare i “nostri capitelli”. Prima di tutto però, ci è capitato di intrufolarci nei ruderi della chiesa dell'Annunziata, “imbucandoci” in un gruppo organizzato.



 Questa ex chiesa in stile Gotico-Catalano è molto particolare, è a cielo aperto



ed è costruita su una piccola cripta usata come catacomba dai monaci francescani.

Un signore che faceva da custode alla chiesa, ci ha spiegato che nella cripta, si essiccavano i monaci francescani defunti, che poi venivano appesi nei loculi ed altre cose macabre legate a quella ritualità, dopo di che, ci ha invitati a scendere le scalette per vedere più da vicino quel “luogo ameno”, dicendoci però: “tra cinque secondi chiudo”, a quel punto ho pensato che non avevo proprio tutta questa voglia di scendere… ma mi sono fatta coraggio.



Alla fine anche il custode ci ha raggiunti, ci ha mostrato un altare, un antico affresco ormai quasi del tutto deteriorato che probabilmente rappresentava il momento in cui San Francesco aveva ricevuto le stimmate da Gesù, il commento del custode è stato: “è un peccato, sta crollando, la muffa e l’umidità lo distruggeranno, ma che ci vogliamo fare, siamo in Italia e pure in Sicilia”.



Dopo abbiamo visto il punto in cui si essiccavano i monaci, con relativo commento del custode: “erano bassini di statura questi monaci”, per un attimo ho pensato con orrore al mio metro e mezzo di altezza…



Poi ho fatto le foto con nonchalance e siamo usciti all’aria aperta, finalmente!

Alla fine siamo arrivati in Piazza dai capitelli, che ci mancava poco ed era di nuovo sera e non riuscivo a fare le foto per la seconda volta…



E poi passeggiatina allietata dalla vista di belle chiese,



 campanili,
 


 scorci, balconcini etc.



E così si è conclusa la seconda “visita incompiuta” ad Alcamo, con la voglia di vedere, la prossima volta, il castello, i ruderi ma soprattutto di fare una nuotata nel bellissimo mare!

sabato 9 aprile 2011

Alcamo, una passeggiata, un incontro. Involtini di pesce spada.

 Dopo due settimane trascorse nella quasi serafica sopportazione di ogni tipo di influenza, che ha “perseguitato” me e tutti i miei familiari, adesso forse guarita, solo un po’ di tosse ancora, ho finalmente potuto fare una passeggiata domenicale (se pur in serata) che mi ha permesso di scoprire un paese non troppo distante da Terrasini (e da Palermo), un paese che non avevo mai visitato e pur avendolo visto ormai all’imbrunire, mi è sembrato bellissimo, e per quanto abbastanza conosciuto (soprattutto grazie al vino che vi si produce), credo meriti ancora più fama e rilievo di quanto ne abbia adesso: Alcamo.


Conosco da sempre Alcamo marina, e soprattutto la sua spiaggia molto bella dove spesso mi è capitato di andare al mare, sia da piccola che in tempi più recenti.



Ho dei vaghi ricordi d’infanzia del Monte Bonifato dove c’è un bel bosco che si trova proprio a ridosso della bella cittadina, ed anche “conoscenze gastronomiche”, legate al ristorante Bahìa, vicino al mare,



dove si mangia un ottimo cous cous al pesce.

Ma ad “Alcamo paese” non ero mai stata, sapevo essere molto bello, grande e ricco di monumenti, ma vederne il centro storico, seppur di fretta, è stato molto piacevole, mi dispiace solo che la mia macchina fotografica di sera non faccia delle foto decenti, ma sarà la scusa in più per fare un’altra visita durante una di queste belle giornate soleggiate.
Alcamo ha origini arabe, questa è l’unica certezza, ho infatti trovato almeno quattro diverse interpretazioni riguardanti l’origine del suo nome: secondo la prima deriverebbe dal termine arabo Alqamah (fango) per intendere una terra fertile, una seconda teoria fa originare Alcamo da Al-Kamuk, il comandante arabo che l’avrebbe fondata. Oppure sembra che l’avessero fondata nel 827 attorno a un piccolo castello e avesse preso il nome dall’ emiro arabo che si chiamava Al-Qamah. Un’ altra ipotesi fa originare il nome Alcamo da “Mazil Alqamah” dove per mazil si intende un gruppo di case e con alqamah un cocomero velenoso (ma non era il fango fertile??? ).

Ad Alcamo poi si susseguirono diverse dominazioni che lasciarono i segni del loro passaggio. Ci sono tantissime chiese e monumenti di pregio grazie anche al contributo di diverse personalità artistiche (come il pittore Borremans o gli scultori Gaggini e Serpotta).



Non voglio descrivere qui queste Chiese così belle, che sono davvero tante e oltretutto andrebbero visitate all’interno (cosa che non abbiamo potuto fare perché era già sera), e perché meriterebbero studi più approfonditi, ma semplicemente raccontare una bella passeggiata che ha lasciato vivo il desiderio del ritorno, una sensazione di arricchimento e l’orgoglio di vivere in una terra che va sempre riscoperta e che malgrado il degrado e l’incuria che troppo spesso purtroppo non fanno fiorire, come dovrebbe, il grosso patrimonio culturale che ci è stato lasciato dai nostri predecessori, riesce comunque sempre a meravigliare e a regalare belle emozioni.

Noi abbiamo parcheggiato in un belvedere che è una sorta di cinta muraria, e tramite la Porta Palermo,


una delle porte della cittadina, siamo entrati nel corso principale che ha subito mostrato le sue bellezze, diversi scorci suggestivi, un bellissimo portale,

angoli illuminati dalla luce fioca dell’imbrunire, Chiese, monumenti, balconcini, diversi stili architettonici che si intrecciavano armoniosamente. Siamo arrivati in una grandissima piazza dove dominava su tutto il Castello del XIV-XV secolo,

 
si può aggirare in tutto il suo perimetro e che fortunatamente è ristrutturato e ben illuminato.

Poi siamo arrivati alla piazza principale, dove c’è una bella chiesa e un antico collegio dei Gesuiti. Vicinissimo al Collegio c’è la Cappella della Sacra Famiglia.

Questa Chiesetta appariva, già dall’esterno, affascinante e fortunatamente era anche aperta, così siamo entrati, poco dopo si è avvicinato un simpatico e particolare signore che si è mostrato desideroso di spiegarci alcune cose della cappella e di Alcamo.

Ci ha spiegato che quella Chiesa era stata costruita dai Gesuiti cento anni prima del Collegio. Ha cominciato così: “Bisogna ricordare… che Alcamo sorge in un luogo molto bello, tra il monte Bonifato, il mare, e le acque termali, è vicina a due aeroporti, quello di Trapani e quello di Palermo...” e poi: “sapete chi erano i Gesuiti? Se non lo sapete ve lo dico io”, e senza darci il tempo di fiatare, ha continuato: “bisogna ricordare… che i nobili e ricchi signori avevano tanti figli, i primogeniti ereditavano il titolo, ma gli altri non potevano, allora venivano fatti entrare nel clero con delle ricche doti”, “con queste doti costruivano chiese e conventi”.

Poi ci ha mostrato i simboli della Sacra Famiglia che si trovavano sul portale e su un palchetto di legno: il sole nascente e le spighe. Ci ha segnalato le teche con le reliquie di S. Casimiro (“Bisogna ricordare … che era vice re della Polonia, è per questo che sulla teca c’è una corona”), S. Paolino e S. Benedetto il moro (che si trova pure a Palermo a Santa Maria di Gesù).

Poi ci ha detto: “Bisogna ricordare che ad Alcamo c’è stato il terremoto, ed allora delle tele andate distrutte sono state sostituite da quelle fatte in anni più recenti dal pittore alcamese Gino Speciale”. Poi ci ha mostrato una tela di Giusseppe Renda (pittore Alcamese del 1700) e una tela mancante (La Madonna del lume) che stanno restaurando, una piccola scultura di smalti e coralli rappresentante la sacra famiglia, ed infine un trono d’oro appena restaurato.

Questo signore ha poi voluto accompagnarci nella piazza perché ha detto: “tanti miei concittadini non sanno che qui ci sono dei capitelli risalenti all’homo sapiens, vanno in giro a cercarli per il mondo mentre ce li abbiamo pure qui”. “Ora ve li faccio vedere, seguitemi”. Poco distante c’era un portale con due colonne i cui capitelli rappresentavano una donna e un uomo e al centro della porta un bambino, più avanti in un’altra colonna il volto di una donna.

Ora, dubito che si tratti di resti dell’homo sapiens, e non solo la mia fotocamera non è riuscita a fotografarli, ma non ho nemmeno trovato nulla nella mia piccola ricerca su internet riguardo a questi capitelli e alla loro storia, però erano molto belli e particolari e mi piacerebbe tanto saperne di più.

Il gentile signore ha continuato: “Bisogna ricordare… che c’era il “Principe Pria”, che viveva a Palermo, ma poi giunse ad Alcamo ed aveva un figlio maschio e una femmina, fece scolpirli nei capitelli, prima qui c’era l’erario, ora lo hanno acquistato famiglie di privati”.

Insomma dopo un po’ ci siamo salutati, con la promessa di rincontrarci e farci raccontare altre storie. E sempre bello passeggiare, anche inconsapevoli, per i luoghi e fare incontri, che ti lasciano sempre qualcosa, arricchiscono e dimostrano come gli umani, malgrado vivano in un mondo ormai disgregato e virtuale, sentano sempre e comunque il bisogno di comunicare e interagire tra loro, stare vicini e raccontare le proprie storie, ed a me le storie piacciono tantissimo, sia vere che…verosimili!

Per premiare la pazienza di chi è arrivato fino a qui, una semplice ricetta:

Involtini di pesce spada.


Ingredienti: quattro fette sottili di pesce spada (eventualmente batterle). Succo di un limone, olio evo (quanto basta) un cucchiaino di zucchero, foglie di alloro, cipolla. Per il ripieno: quattro cucchiai di pangrattato (un cucchiaio circa per ogni fetta), una manciata di uvetta e pinoli, un pezzetto di cipolla tritata, una manciata di prezzemolo, sale e pepe, un cucchiaio di olio evo.

Preparazione: In una ciotola mescolare tutti gli ingredienti del ripieno cercando di amalgamarli. Mettere un mucchietto di ripieno all’interno di ogni fetta di pesce spada e arrotolarla cercando di non far fuoriuscire il ripieno. Porre gli involtini in uno spiedo, intervallandoli tra loro con una foglia di alloro e un pezzo di cipolla. Metterli in una teglia preferibilmente su carta forno. Preparare un sughetto con dell’olio evo, il succo di un limone e lo zucchero (un cucchiaino), mescolare bene il tutto e versare sugli involtini. Mettere la teglia nel forno e cuocere per circa venti minuti.


Buon appetito!

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