Osservare quell’isola tanto vicina alla costa, galleggiante sul mare, disabitata, quasi arida, scontrosa ma dolce, piccola e grande, rappresenta un panorama riconciliante, stranamente rasserenante. La sua vista fa anche scordare il punto di osservazione più vicino, un po’ squallido, uno slargo in una strada delimitata da un muretto tutto rotto e coperto da scritte, circondato da case rovinate dalla salsedine, da sporcizia... un senso di desolazione, una sorta di nulla che tale sarebbe se non ci fosse quella vista.
Ed io, caso vuole, nei momenti più tristi o in quelli più felici mi ritrovo sempre lì, in quel posto assurdo dove però c’è quell’isola così vicina che sembra quasi di poterla toccare.
Un alone di mistero circonda questa isola deserta, abitata solo da gabbiani, topi e conigli, e la cui unica costruzione è una torre in rovina. E l’arcano è dato dal suo nome “delle femmine” che ha ispirato molte leggende. Tutto ruota attorno a quell’unica costruzione che nell’immaginario rievoca le torri delle fiabe dove venivano rinchiuse le fanciulle che dovevano essere liberate da un prode cavaliere.
Isola delle femmine vista da Barcarello
La prima leggenda ipotizza che in quell’isola esistesse un carcere per donne. Certo panoramico... ma alquanto inquietante, Non sono però mai stati trovati resti di vita carceraria (per fortuna direi!).
La seconda leggenda narra la storia di una donna che ebbe la sfortuna di essere “notata” da un Conte di Capaci. L’uomo (una sorta di stalker dei tempi antichi) non ricambiato e geloso, la rinchiuse nella torre per averla solo per sé. La fanciulla si gettò sugli scogli per sfuggire a quel triste ed oppressivo destino.
La terza leggenda vede ancora l’isola come luogo di isolamento per donne, in questo caso le sfortunate sarebbero state 13 donne turche, accusate di ipotetiche colpe, furono abbandonate in mare dai loro mariti, su una barca che vagò in balia delle intemperie fino a naufragare nell’isoletta dove vissero per sette anni. Passato quel tempo furono ritrovate dai mariti successivamente pentitisi, che le portarono sulla terra ferma costruendo una cittadina a cui diedero il nome di Capaci (qua la pace) per sancire quella (direi tardiva) riconciliazione. Questa versione è secondo me altamente improbabile, considerando che dopo sette anni quelle donne avrebbero preferito rimanere sull’isola deserta piuttosto che tornare dai loro mariti (meglio sole che “malaccompagnate”) . Preferisco immaginarle mentre costruiscono da sole una bella zattera e si trasferiscono in terra ferma dove costruiscono la cittadina, si organizzano ed eventualmente conoscono dei pescatori del luogo.
Un’altra leggenda ancora più incredibile ed improbabile ritiene l'isola la residenza di bellissime donne che si offrivano in premio al vincitore della battaglia.
Una testimonianza attribuisce invece il nome ad un generale bizantino governatore della provincia di Palermo chiamato Eufemio, da qui insula fimi (isola di Eufemio).
E dopo tutte le leggende forse una verità, il nome probabilmente nulla ha a che fare con le femmine nè con Eufemio, è più probabile che il termine femmine fosse una derivazione dal dialettale fimmini che derivava dalla parola araba fim che significava bocca o imboccatura e stava ad indicare il canale esistente tra l’isola e la terraferma. I primi resti rinvenuti risalgono ai punici, legati alla pesca del tonno.
La torre del XVI secolo sarebbe una delle tante torri di avvistamento nata per sconfiggere la pirateria e probabilmente divenuta rudere a causa dei bombardamenti degli Alleati durante la seconda guerra mondiale e per il totale abbandono.
Insomma il bell’isolotto è un luogo che andrebbe rivalutato e ristrutturato.
E così fuori dalle leggende, dalle reclusioni e dai fantasiosi misteri, è bello guardare quell’isola, avendo magari in precedenza acquistato un panino con le panelle, preparato da un’anziana signora del paese nel suo piccolo negozietto (in via Roma), o una bella fetta di anguria in uno dei
chioschi sul porticciolo!
Perchè si sa, il mare apre l’appetito!