A Palermo quando si dice carciofi si dice Cerda.
Cerda è un piccolo centro nelle Madonie, noto perchè vi si svolgeva una tappa della Targa Florio (antica gara automobilistica), ma soprattutto per la produzione di carciofi buonissimi (onorati anche da una grande statua a forma dello stesso spinoso ortaggio che si erge nella piazza del paese). Ogni anno vi si svolge infatti la sagra del carciofo e alcuni ristoranti preparano esclusivamente pietanze a base di carciofo, tra cui da citare il più famoso che si chiama trattoria Nasca.
Quando a Palermo si acquistano i carciofi, che sia dal proprio “parrucciano” o dai tanti camioncini traboccanti di carciofi che si trovano in giro per la città, il fruttivendolo, per tirare su il prezzo, dovrà soltanto dire che si tratta di carciofi di Cerda, i più pregiati, i più teneri, i migliori.
foto da internet
Il borgo di Cerda fu fondato nel ‘600 da una famiglia di origine spagnola, i Santo Stefano della Cerda, questo termine in spagnolo significava la femmina del maiale, ma credo che gli abitanti del luogo preferiscano non soffermarsi su questo, ma piuttosto concentrarsi sui carciofi.
In Sicilia i carciofi furono introdotti dai Greci che li chiamavano cynara.
Come sappiamo i greci avevano la passione dei miti e delle leggende, e soprattutto avevano Zeus, dio maximus, il quale approfittando del suo ruolo di leader assoluto, voleva sempre attorniarsi di ninfe, dee e semidee. Le inseguiva, le corteggiava, le invitava al proprio desco, quando poteva si faceva canticchiare in coro: “meno male che zeus c’è”. Però l’umanoide dio aveva una moglie, Era, la quale non potendo chiedere il divorzio, era costretta a reagire in altri modi contro quel “mitologico ciarpame senza pudore”, nel caso della bella cynara, di cui Zeus si era invaghito, decise di trasformarla in un ortaggio spinoso...
Gli arabi successivamente nominarono “karasciuff” il mitico ortaggio, ed in Sicilia ne trovarono infinite piantagioni selvatiche. Noi siciliani però li chiamiamo "cacoccioli" (a Palermo direi ancora meglio “cacuocciuli”), dalla mie ricerche, il termine deriverebbe dal latino “caput”, testa, perchè del carciofo si mangia infatti la buona capoccia, diventata cacocciola.
I Francesi erano ghiotti di carciofi, a Palermo ne trovarono tanti soprattutto in alcuni terreni vicini alla città. Chiamarono quel luogo “Les Chardon”, dove oggi si trova il carcere dell’Ucciardone, il cui nome è quindi legato ai carciofi, che metaforicamente e casualmente è appropriato, un carcere che porta il nome di un ortaggio spinoso.
Nel linguaggio mafioso tra l’altro per definire una cosca si usa paragonarla ad una cacocciola (una serie di foglie sorrette da un unico nucleo centrale, che qui si chiama “u civu”), e si definisce un cacocciolo anche una persona un po’ grezza, rude e poco intelligente, che similmente si potrà anche paragonare al cardone.
Con i carciofi si preparano diversi piatti, basterebbe una gita a Cerda ed una passaggio da Nasca per provare la varietà.
Dai “carciofi in pastella”, a quelli impanati e fritti, alla “caponata di carciofi”, ai “carciofi ca muddica”, ai “cacocciuli ammuttunati”, a quelli “a viddanedda”, ai “cacocciuli ca tappa i l’uovo”, a quelli sott’olio, a pezzettini (in brodo), a sfincione, a ‘nsalata di carciofi, alla frittata di carciofi, ai cacocciuli arrustuti etc.
Devo dire che scegliere è difficile, il gusto dei nostri carciofi spinosi è buonissimo, il piacere di staccare le varie “pampine” (foglie) e rosicchiarne la parte morbida, fino a raggiungere il cuore tenero e dolce è impareggiabile.
Certo i più elaborati e gustosissimi sono per me quelli “ca tappa i l’uovo” (con il tappo fatto dall’uovo), se riuscirò prima o poi li posterò, ma in tutti i modi i carciofi sono buonissimi, anche in una delle ricette più semplici, quella che pubblicherò adesso, ovvero “i cacocciuli a viddanedda” (carciofi alla campagnola).
Ingredienti: carciofi, aglio, olio evo, prezzemolo, limoni.
Preparazione: pulire i carciofi (lasciandoli interi) tagliando la cima con le spine ed eliminando le foglie più dure. Si lavano usando acqua e succo di limone. Si allargano e si condiscono all’interno con aglio a pezzettini, olio evo e prezzemolo tritato, sale e pepe. Si immergono in acqua (con testa in su) facendo in modo che l’acqua non arrivi a toccare la parte condita. Far cuocere (a fuoco medio-basso) con il coperchio, fin quando non saranno morbidi. Estrarli dall’acqua di cottura, metterli nei piatti e aggiungere prezzemolo fresco. Semplici ma buoni.