Ogni tanto mi pongo questa domanda, forse sarà la solita crisi dei trentenni ( e non sono una “mucciniana” e tanto meno una “mocciana” perchè per questo “non ho l’età”), o sarà che quando giro per Palermo mi sento piuttosto una marziana (e alle volte anche marxiana).
Nello stesso tempo però so di avere nel sangue tanto palermitanesimo e la cosa mi incuriosisce.
Quale miglior metodo allora se non confrontarsi con chi nella mia famiglia è il miglior esemplare del palermitano doc? Anzi di palermitana, perchè è opportuno che scelga il confronto con una donna.
Generazioni a confronto.
Mia nonna e il suo nome. Si chiama Caterina, nome che in famiglia hanno in tante. Sono almeno cinque cugine a portarlo, escludendo ovviamente nonne, bisnonne e nipoti, perchè una vera palermitana porta sempre il nome della nonna, da generazione in generazione. Come fanno a distinguersi tra loro? Semplice con i soprannomi o i diminuitivi. A mia nonna è andata piuttosto bene, la chiamano tutti Ina, non è certo stato così per alcune sue cugine, ad esempio Inaalaria (la brutta) o Inuccia a gruossa (la grassa), che è pure un controsenso.
Io e il mio nome. Mi chiamo Evelin. Sono stata segnata alla nascita. Ma che nome palermitano doc è Evelin? Ho spezzato incolpevole la tradizione. Ovviamente nessuno in famiglia lo porta, ma lo stesso ho tanti diminuitivi, Evi, Eve, Vela, Veluccia, Eveluccia, Veluzza, Eveluna, Evelina, Avelin e il più accreditato tra gli anziani, Evelinni. Vuoi la crisi d’identità?
Mia nonna e la famiglia. Come tante palermitane, che come u pani ca meusa, si dividono in schiette e maritate (zitelle e sposate), “si maritò” a venti anni, ma già aveva perso tempo per i suoi gusti, c’era la guerra di mezzo e mancavano i soldi per la dote e per il matrimonio (e mia nonna ci teneva molto a queste cose).
A quei tempi ci si vedeva col fidanzato solo in presenza della madre, e lei purtroppo non l’aveva più, dopo aver scomodato tutte le zie a disposizione, mio nonno la lasciò. Per ingelosirla, le passò davanti al balcone con un’altra, e mia nonna, che lo racconta ancora con orgoglio, senza versare nemmeno una lacrima, reagì simulando uno sputo davanti alla neocoppia. Mio nonno, forse impaurito, la sposò subito e ne rimase del tutto succube e follemente innamorato (ancora oggi).
Io e la famiglia. Ho quasi trentatre anni e non sono sposata. Convivo... E già qui è quanto dire. Mia nonna ha cominciato a prepararmi la “duota” (la dote) da quando avevo sei anni, ma io di sposarmi non ho mai avuto intenzione, da sempre allergica al matrimonio e all’abito bianco. Il mio compagno non è palermitano, cavolo, questo è grave, nessuno in famiglia aveva mai osato tanto, e in più non è un furestieru (del nord Italia), ma un siciliano, che qui viene detto dispregiativamente “paesanu”. Devo dire che per par condicio, anche i palermitani sono malvisti in tutto il resto della Sicilia, così io sempre sono e sarò “a palermitana”, che non è proprio un complimento.
Le persone anziane mi chiamano con sospetto “signurina”, perchè non sono sposata, così ora nel mio condominio ci sono due “signurine”, io e una vecchietta zitella di ottantanni.
Mia nonna e il lavoro. Fa la casalinga, da ragazzina lavorava in una ricevitoria, ma il nonno (vero palermitano doc d’altri tempi), appena fidanzato, la fece licenziare, perchè per una donna fidanzata non era concepibile lavorare e uscire da sola.
E’ un ottima casalinga, fa pulizie meticolosissime, tutta la sua casa brilla, passa ore e ore a stirare anche i calzini e le pezze per spolverare.
Malgrado il suo mestiere in casa, tutti la chiamavano “a levatrice” (l’ostetrica) perchè amava uscire e fare le visite alle parenti, fu anche tra le prime donne automobiliste palermitane doc, guida ancora oggi a ottantatre anni.
Io e il lavoro. Prima studentessa e nel frattempo baby sitter e volantinatrice capo (promossa perchè malgrado la mia piccola statura, andavo veloce come un furetto), pochi giorni in un’Assicurazione, serviva un abbigliamento elegante e femminile, visto il mio odio per la moda, dopo quattro giorni in cui rispolverai gli abiti da matrimonio che avevo nascosti nell’armadio, dovevo ricominciare il giro... In più dovevo anche portare sfiga alla gente per farli assicurare!
Ora faccio la bedandbreakfastara, che non è proprio un mestiere da palermitana doc, in primo luogo perchè nessuno qui sa dire bed and breakfast, poi perchè in casa mia vivono “l’astranei” (gli estranei), i familiari per giustificarmi dicono che ho un albergo e che a Palermo non c’è lavoro.
Mi piace uscire, ma passo molto tempo in casa anche per via del mio lavoro, pulisco per ore e ore la zona della casa destinata al b&b, e stiro lenzuola e asciugamani senza tregua, però sotto il mio letto c’è un altro materasso di polvere, le mie lenzuola scricchiolano come fossero di carta e le mie asciugamani vanno bene per fare il peeling, quindi non sono una brava “massara” (brava massaia palermitana doc), ma nemmeno una “cusciuta” (donna palermitana che ama uscire), e un giorno una mia anziana vicina, vedendomi spesso in casa, mi ha consigliato di vedere le telenovelas come fa lei, per passarsi il tempo...
Mia nonna e la cucina. E’ qui che si giunge all’apoteosi del suo palermitanesimo. Lei cucina esclusivamente alla palermitana, non esistono influenze che so, magari da Messina o Catania, niente. L’alimentazione che seguono in famiglia è legata ad una serie di regole e tradizioni.
A pranzo si mangia la pasta, a cena il secondo. La domenica si mangia solo pasta “cu sucu” (con salsa di pomodoro) e carne impanata. Il venerdì pesce. Alcuni condimenti sono legati al formato della pasta. Impossibile non fare la pasta c’ anciova e i tenerumi se non con la margherita, oppure la pasta con sarde o broccoli arriminati se non con il bucatino. Alle feste si mangia la “pasta col forno”, ma solo con gli anelletti. D’estate prepara quintali di caponata, milincianeddi e peperoni ammuttunati. La pizza non esiste, si mangia solo sfincione. E poi la zucca rossa si cucina esclusivamente come “fegato ri setti cannuola”, i cardoni si fanno fritti in pastella, il riso si mangia solo a santa Lucia, e quel giorno al mattino, al posto del pane e latte si mangia la minestra di broccoli. Per il giorno dei morti tassativamente le muffolette, sempre a colazione. Tutto questo ancora oggi che lei e mio nonno hanno superato gli ottantanni. Alcuni cibi sono tabù, soprattutto panna e besciamella, ma anche i cibi surgelati e i barattolini. Ogni ricetta viene preparata da mia nonna con precisione e meticolosità, impiega molto del suo tempo a cucinare, se dovesse preparare la minestrina, preferirebbe fare lo sciopero della fame. Alla linea non è interessata, anzi il suo detto è “ a carni sta biedda a atta” (la carne fa bella la gatta).
Io e la cucina. Premesso che amo mangiare, amo la cucina palermitana, e cucino anche abbastanza bene, non riesco a seguire quasi nessuna regola, nel cibo come nella vita. Non so riproporre un piatto fatto sempre allo stesso modo, non ci riesco proprio, in cucina invento sempre e cambio tutte le ricette. La domenica che è un giorno di lavoro, spesso mangiamo cose già pronte o fast-cucina, ovvero le famose spinacine. Mangio anche il secondo a pranzo e la pasta a cena. Mi dimentico le feste, tranne ora che ho il blog. Faccio la pasta al forno anche con le pennette e i rigatoni (sacrilegio!) e i broccoli arriminati con le casarecce, però l’anciova è tassativamente con la margherita, lo ammetto! Amo il riso più della pasta, lo mangerei sempre. I surgelati sono la mia salvezza, come pure i barattolini di vongoline, di pesto e adoro la panna.
Ora è chiaro, sono una palermitana anomala, con un nome anomalo; nè schietta, nè maritata (altro che pane ca meusa); nè massara, nè cusciuta; in cucina sono di tanto in tanto irriverente, ma ci sarà un perchè se scrivo un blog sulla mia città, se conosco bene il dialetto sia antico che moderno, se il mio cibo preferito sono le arancine, se quando vedo il golfo di Palermo dall’alto di una montagna dico “la città più bella del mondo!”....
Per chi ha avuto la pazienza di leggere tutto questo, una buona sorpresa, e questa veramente palermitana. “I pulpetti di sardi cu sucu” (le polpette di sarde con salsa di pomodoro).
Questa è una tipica ricetta della cucina povera siciliana, di cui spesso le sarde sono l’ingrediente principale, visto il loro costo contenuto. Il tipico sapore agrodolce è dato dall’abbinamento con il salato, dell’uvetta sultanina e della menta. I pinoli erano usati nel passato prevalentemente per la loro funzione antibatterica, visto che a volte veniva cucinato “pisci fitusu” (pesce non propriamente fresco).
Ingredienti:
500gr di sarde, 1 uovo, 100gr di cacio cavallo, foglie di menta, una manciata di pinoli e uva passa, 500 gr di salsa di pomodoro, mezza cipolla, olio extravergine d’oliva.
Procedimento:
Pulire e squamare le sarde, togliere la testa , ottenere dei filetti e sminuzzarli. Unirli al formaggio, all’uovo, uva passa e pinoli e alla menta tritata. Amalgamare il tutto e ottenere delle polpette. Soffriggerle nell’olio e metterle in un piatto.
Nel frattempo preparare la salsa di pomodoro, insaporita da un soffritto di cipolla e da alcune foglie di menta. Versare nella salsa le polpette e farle cuocere per circa quindici minuti. Chi vuole potrà condire con la salsa un buon piatto di pasta.