martedì 30 giugno 2009

I gelati tradizionali di Palermo



A Palermo in tema di gastronomia ci si attribuisce diverse invenzioni, oltre ai tradizionali dolci come cassate, cannoli, ho già parlato dell’invenzione degli spaghetti e del Mac Donald...

Ma la nostra tradizione vuole anche, che sia dovuta ai geniali (o buongustai) palermitani, l’invenzione del gelato.

Devo dire che è anche plausibile, visto il caldo estivo, l’aver inventato una “pietanza” che potesse rinfrescare i palati e gli animi, più complesso è immaginare come in tempi in cui non era stato ancora inventato il frigorifero o meglio il freezer, si potesse creare il gelato.

Ma la risposta è presto detta anche se bizzarra. I palermitani “raccoglievano la neve”. Sembrerebbe essere un paradosso, considerato che di neve qui non se ne produce poi tanta, e d’estate non se ne produce per niente. E’ strano pensare a una possibile conservazione o al trasporto della neve dalle montagne, senza immaginare di ritrovarsi solo grandi quantità di acqua fresca, ma come sempre di necessità si fa virtù e quindi si fa funzionare il cervello.

Nei pressi di Giacalone, zona montana dell’interland palermitano, d’inverno la neve c’era (e c’è tuttora), si scavavano delle buche nella terra, chiamate “niviere” che venivano ricoperte di paglia per mantenere il freddo anche d’estate, nelle quali si conservava la neve. La bianca coltre veniva poi trasportata in ceste con paglia e sale marino e il gioco era fatto!

E’ un fatto che la stessa operazione venisse svolta anche a Catania (con la neve dell’Etna) o in altri centri siciliani, ma a Palermo si è convinti di essere i primi ad averci pensato!

Questa neve, gli arabi (nell’800) pensarono bene di mischiarla con latte, acqua, frutta e fiori (gelsomino) ed è così che inventarono il sorbetto “shiarbat” , da cui con le varie aggiunte successive, nasce il gelato che tutti oggi amiamo gustare.

A Palermo di gelaterie ce ne sono tante, come ormai dappertutto, però bisogna segnalare l’esistenza di particolari tipi di gelato “tradizionali” e molto particolari.

Nelle gelaterie del Foro Italico,


e soprattutto da Ilardo, che è la gelateria più antica della città, si può gustare il particolare gusto della “scorzonera e cannella”, ovvero gelsomino e cannella,
due sapori che richiamano il mondo arabo. E’ un gelato “solido”, servito a fetta su un piattino, il cui sapore è molto delicato e misterioso. Un’altro tipico gelato è il giardinetto, anche in questo caso è una fetta solida i cui gusti sono pistacchio, cedro e fragola e richiamano il tricolore perchè fu inventato proprio per festeggiare l’arrivo di Garibaldi il quale (oltre ad aver “poggiato le sue stanche membra” un pò dappertutto, oltre ad aver distrutto la famosa porta Termini di Palermo, che pur non esistendo più ha preso il suo nome, e ad aver ingannato i siciliani di Bronte, vedi la novella “Libertà” di Verga) avrà anche gustato un buon gelato da lui patriotticamente ispirato.

Altri gusti tradizionali sono la cassata imbottita, il melone, il fico d’india,


gli spongati (gelati più schiumosi spesso serviti in coppe di metallo),il riso di chantilly, e poi fichi, gelsi neri, frutta secca di vario tipo e il sempre classico limone.



Un gelato di cui mi raccontano i miei genitori, che ormai credo non esista più era quello che loro chiamavano Charlot o Scialotta, ai loro tempi lo trovavano in una gelateria del Corso Livuzza (Finocchiaro Aprile), era un gelato compresso tra due cialde con l’ausilio di una particolare macchinetta, insomma un pò come il “cucciolone” di oggi.

Tra i primi gelati confezionati (industriali), divenne di gran moda quello che qui chiamiamo l’ascaretto (anche detto lascariettu), ovvero il gelato col bastoncino (tipo cremino), tanto che ancora oggi la gente di una certa età continua a dare questo nome ai gelati confezionati.

Di fondamentale importanza è mangiare il gelato con la briosce (che qui chiamiamo “broscia”), magari con l’aggiunta di panna ( a “broscia ca panna”), che diventa un vero e proprio pranzo.



Per quanto riguarda le rinomate granite della Sicilia, anche se è dura ammetterlo, a Palermo, non sono poi così buone, meglio di certo gustarle nelle zone del catanese, messinese o siracusano, lì sono dei veri maestri in fatto di granite!

Qui a Palermo invece c’è ancora (ma è in via d’estinzione) un particolare tipo di granita, “la grattatella”, ovvero del ghiaccio tritato a mano a cui si aggiunge uno sciroppo di limone o altro, ma ai giorni d’oggi ho visto questo tipo di granita, venduto soltanto di fronte il Teatro Massimo da un uomo anziano dotato di carrettino.

I carrettini del gelato, un tempo diffusissimi adesso sono diminuiti, ne ricordo uno che girava per i mercatini rionali della città, che abbanniava (pubblicizzava declamando) con l’ausilio di un nastro registrato. Si sentiva una voce cantilenante dire a ripetizione: “ma che bellu u me gelatino che bello, l’aviti a ghiri assaggiari che sapurutu” (che buono il mio gelato, lo dovete assaggiare che è gustoso)!

Un altro particolare gelato inventato a Palermo (con tanto di brevetto) è la cremolosa del chiosco dei Piazza Gentili, vicino al Giardino Inglese. Ecco questa è proprio una chicca da non perdere, non è un gelato, me nemmeno una granita, contiene il latte come i gelati, ma è granuloso, i suoi ingredienti sono tutti naturali (non essenze) e il gusto è meraviglioso.

Un altro chiosco dove il gelato mi piace tanto è quello proprio vicino casa mia, a Piazza San Francesco di Paola, “Al santo padre”, gestito dal Signor Salvatore, che molto gentilmente ci ha raccontato come il suo gelato è fatto “all’antica”, fino a qualche anno fa usava ancora gli strumenti in legno, ora la legge gli ha imposto una gelatiera più moderna, ma gli ingredienti e il metodo che usa sono gli stessi di un tempo, e devo dire che il suo gelato al limone ha veramente un forte sapore di... limone!



Per i palermitani, detto tutto ciò, è normale che mangiare un gelato sia un vero culto, un grande piacere, seduti in un tavolino all’aperto, o per strada passeggiando. Durante la passeggiata domenicale è impossibile rinunciarvi, offrire il “gelatino” ai propri bambini, le cui dimensioni sono inversamente proporzionali al diminuitivo appena usato.
Che si vada da Ilardo, da Cofea, da Ciccio (in via Lincoln), alla Cremolosa, al Gelatiere (Via Scobar), alla Vela (Vergine Maria) e da altre infinite buonissime gelaterie, è impossibile perdersi quest’occasione.

sabato 27 giugno 2009

"U muluni", ovvero l'anguria e gelo di mellone.



Appena arriva l’estate, con l’aumentare della temperatura, si cerca di mangiare qualcosa che possa contribuire al bisogno di rinfrescarsi. E’ da tutti consigliato non mangiare cibi pesanti, fritture, grassi, ma pochi a Palermo rinunciano a un buon panino con le panelle o con la meusa anche sotto il sole cocente. D’altra parte ai palermitani piace molto mangiare fuori casa, all’aperto (visto che il clima lo consente per gran parte dell’anno), in un chiosco e in compagnia, e tra i suddetti panini, frutti di mare, stigghiole etc, le tentazioni sono forti.

Però bisogna dire che ai Palermitani le alternative non mancano mai, ed allora se sono vegetariani, se amano rinfrescarsi, se amano mangiare fuori ma vogliono rinunciare a grassi e fritture, o se non vogliono affatto rinunciarci, ma cercano un modo per “ripulirsi la bocca” dopo averla riempita di cibi untuosi, se vogliono sedersi attorno a un tavolino e godersi la serata, non rinunceranno sicuramente a godersi una bella “fetta ri muluni”.



“ U muluni” è una “grande passione”, è alternativa anche al "monotono e inflazionato" gelato, è il frutto estivo per eccellenza.
U muluni (plurale i muluna) o in versione italianizzata “mellone”, non è altro che l’anguria o cocomero. In Sicilia, basta girare per le campagne e vederne la grande produzione, per capire il grande amore che viene riservato a questo frutto.

In città dal centro alla periferia, durante tutte le ore del giorno, ci sono dei camion di diverse grandezze, posteggiati in “luoghi strategici”, con la parte posteriore aperta, dalla quale fuoriesce una quantità enorme di muluna, tutti ordinati a mo di piramidi.

Le insegne che servono ad attirare la clientela, sono spesso dei disegni penzolanti fatti a mano che ritraggono la fetta di anguria con i suoi colori accesi e vagamente patriottici.

Il venditore di anguria detto “u mulunaru” è quasi sempre un omone alto e grosso, abbigliato con canottiera colorata. Quando ero piccola e vedevo uno di questi venditori, immaginavo che sotto quella canottiera, nascondesse una enorme anguria, la sua “grossa panza” a strisce verdi e bianche...

U mulunaru è un esperto riconoscitore di anguria, perchè deve venderla, come dire, “a scatola chiusa”, ma nessuno si fida di lui. Tutti i clienti infatti hanno dei metodi “infallibili” per riconoscere l’anguria più dolce e matura, tra cui toccarla all’estremità ( e per educazione non dico come viene chiamata questa operazione, ma alludo che si riferisce alle umane posteriori), scuotendola vicino l'orecchio, come fanno i bambini quando cercano di capire cosa c’è dentro l’uovo di pasqua, oppure graffiandola con l’unghia e osservando con perizia il risultato (ma a quel punto nessuno sa interpretare quel vaticino). I più malfidati clienti lo comprano solo se il venditore è disposto a estrarne un tassello o tagliarne una piccola fetta per l’assaggio, per dimostrare quindi la propria onestà e fiducia nelle proprie qualità di esperto in materia.

In ogni caso, quando il compratore tornerà a casa e aprirà con soddisfazione il suo muluni, non sarà mai del tutto contento e ci sarà sempre qualcuno in famiglia che dirà che è un “pò grevio” (scipito), o troppo maturo o troppo acquoso etc, ma è normale, in tema di muluni qui siamo tutti esperti e pignoli!
U muluni si mangia a casa dopo averlo tenuto in frigo, oppure altra grande consuetudine è quella di portarselo in spiaggia, tenendolo con orgoglio fra le braccia come fosse un bambino. In questo caso, ci sono delle operazioni fondamentali a cui pochi rinunciano, punto primo, sotterrarlo nella battigia per mantenerlo fresco, tagliarlo a fette e distribuirlo, poi mangiarlo e successivamente lanciare le bucce sulla spiaggia come fossero boomerang (tanto sono biodegradabili, sic!).

Un momento in cui u muluni non può assolutamente mancare è durante il festino di Santa Rosalia, la gente lo alterna con gioia alle babbaluci (lumachine condite con aglio e prezzemolo) ed in entrambi i casi “u scrusciu” (il rumore) che si produce per mangiarlo è una vera goduria...

Ma soprattutto a Palermo è possibile gustare l’anguria in uno dei tanti chioschi della città (e anche nei centri marittimi), al Foro Italico, alla Cala, in Via Papireto, etc, dove ti servono una enorme fetta di questo “frutto tutt’altro che proibito” e veramente in questo caso la sua squisitezza è assicurata.


Bisogna svelare il vero motivo dell’amore per questo frutto.
Non è solo la sua dolcezza dovuta all’alta quantità di zucchero che contiene, il fatto che sia molto ricco di acqua e per questo perfetto d’estate, la freschezza che dona, i suoi colori sgargianti e attrattivi, l’effetto patriottico del tricolore (che qui, italiani, non ci si sente più di tanto), ma piuttosto nel gusto che si trova nell’atto in sè di mangiarlo, afferrando questa deliziosa mezzaluna, bagnandosi le mani, sbrodolandosi fino ai gomiti, lavandosi tutta la faccia comprese le orecchie, producendo rumori e sputando i semi neri (i bambini poi si dilettano in gare del tipo “chi lo fa andare più lontano” o colpendosi reciprocamente come fossero mitragliette). So che l’immagine potrebbe apparire raccapricciante, ma tutto questo da anche grande soddisfazione...e per molti quando il bon ton lo richiede, doverlo mangiare con coltello e forchetta da una certa delusione...


Un’altra caratteristica dell’anguria è il fatto che sia un pò indigesta, sale e scende per tutta la giornata, specialmente se accompagnata da altri cibi non proprio dietetici, ma anche questa è una piccolezza, non sarà certo questo particolare a indebolire quella che è una vera passione.

Dall’Anguria si produce un dolce squisito, il gelo di mellone, che probabilmente origina dagli “arberesch” provenienti dall’Albania e che ha comunque influenze arabe (ingredienti fondamentali sono, oltre all’anguria, la cannella e il gelsomino).


Ricetta:

ingredienti: 1 litro di succo di anguria, 80gr di amido, 200gr di zucchero, 1 bustina di vaniglia, 1 bastoncino di cannella, 1 cucchiaio di fori di gelsomino,zuccata, gocce di cioccolato, pistacchi.

Lavorazione: Togliere la buccia e i semi neri e passare l’anguria al passa-pomodoro. Mettere in infusione i fiori di gelsomino in poca acqua calda. Mettere in una pentola il succo, aggiungere l’amido e farlo sciogliere a freddo. Aggiungere lo zucchero, cannella e vaniglia, mettere sul fuoco e mescolare, portare al bollore, quando si addensa spegnere il fuoco e aggiungere l’acqua dei gelsomini e mescolare. Versare nelle coppette, far raffreddare e poi mettere in frigo. Servire decorando a piacimento le coppette con zuccata, cannella in polvere, gocce di cioccolato, pistacchio triturato, e un fiore di gelsomino.

venerdì 12 giugno 2009

La Forneria Messina a San Martino delle Scale. Sfincione, muffolette e pane cotto a legna.

Stavo per scrivere un post su San Martino delle Scale, una frazione di Monreale a circa 550 m di altezza, poco distante da Palermo (15/20 min. in auto), luogo molto amato dai palermitani in cerca di fresco durante l’estate, di natura e di aria pulita. Un piccolo centro immerso nei boschi dove si può fare una bella passeggiata, una scampagnata nelle aree attrezzate o raccogliere verdure selvatiche, finocchietti di montagna, asparagi e origano (secondo le stagioni).


Mentre guardavo le foto bellissime di boschi, fiori e panorami, e mentre studiavo le origini storiche di luoghi quali l’abbazia dei Benedettini, mi si è aperto l’appetito (sia il mare che la montagna riescono a farmi questo effetto, ma in verità anche la città, forse il vero motivo è la mia palermitanità) e non ho potuto fare a meno di desiderare il particolare sfincione, le muffolette e il pane profumato di legna che di tanto in tanto amo gustare in un forno che adesso si è ampliato proponendo anche altre delizie gastronomiche
e una enoteca molto ricca,


che si chiama “Forneria Messina” e si trova a San Martino delle Scale, tra i boschi.
Lo sfincione di San Martino è diverso da quello di Palermo. Gli ingredienti di base sono identici (manca solo il pangrattato in superficie), ma il risultato è diverso. La base dello sfincione è una pasta diversa da quella della pizza, perchè come dice il nome stesso è “sfinciata”, termine che viene da “spongia”, quindi una pasta soffice e porosa. Il condimento è una salsa di pomodoro con abbondante cipolla, acciughe e cacio cavallo.
Lo sfincione della Forneria Messina è particolarmente buono e rustico. Questo antico forno, come dicevo, nel tempo si è esteso sia nello spazio che nella varietà della gastronomia proposta.
Piatti colmi di salumi e formaggi locali dai profumi e sapori eccezionali,

salsiccia e carne arrostita,
le tipiche muffolette (pagnotte) con ricotta, muffolette con pomodoro e cacio cavallo,

sfincioni tradizionali e sfincioni bianchi (senza pomodoro), pane cotto a legna con olio locale, sale e pepe, dolci rustici,
e il tutto accompagnato da un ottimo bicchiere di vino.
Si può gustare questa gran varietà di delizie, all’interno del locale in una veranda con una vista bellissima sulla vallata,
oppure all’esterno, in un grande gazebo in legno dove si può respirare l’aria fresca e profumata di natura.
L’atmosfera è quella tipica dei luoghi montani, ed è incredibile sapere di trovarsi a pochissimi chilometri da Palermo e dal mare, è un ambiente rilassante e rustico, dove l’accoglienza dei proprietari e del personale è calorosa e disponibile.

Si può poi digerire il tutto (perchè anche se si inizia con una sola porzione di sfincione, sarà poi impossibile rinunciare alle muffolette o ai formaggi che sprigionano tutto il loro profumo) facendo una bella passeggiata verso il piccolo centro di San Martino delle scale o alla meravigliosa Abbazia dei Benedettini (ricca di storia, arte e cultura), guardando il Monte Caputo sulla cui vetta si erge il Castellaccio (un rudere di un antico castello ricco di fascino) , tutti luoghi di cui scriverò nel prossimo post.

lunedì 1 giugno 2009

Frutti di mare, Sferracavallo e tre primi piatti...

foto Judy Witts

Il mare oltre alla sua bellezza e allo svago, ci regala tanti buoni frutti, sperando sempre che “l’attività umana” non rovini troppo questa grande ricchezza!

foto Judy Witts

A Palermo, come in altre città di mare, è facile trovare ristoranti e trattorie dove si cucina pesce fresco, molto prelibato e anche a buon prezzo.
Nei mercati storici è possibile anche trovare i condimenti già pronti per preparare ottimi primi piatti!

foto Judy Witts

Nelle borgate marinare e soprattutto a Sferracavallo, ci sono tantissimi ristorantini o chioschi con vista sul mare, dove poter gustare ricci, cozze scoppiate, polpo bollito, insalate di mare, ottime spaghettate alle cozze o vongole e buonissimi risotti ai frutti di mare. Ci sono anche dei ristoranti a “menù fisso”, che a un costo di circa 25€ ti riempiono di qualunque tipo di piatto a base di pesce, questa più che una “mangiata” è un’esperienza, pochi riescono a finire tutto, soprattutto se durante la fase degli antipasti si comincia ad accompagnare tutte le prelibatezze con il pane.

Per chi ama i frutti di mare ed il pesce questa esperienza va assolutamente fatta, per chi pensa di non farcela a reggere ad una così esagerata quantità di cibo, per chi ama mangiare all’aperto, magari guardando il mare, l’ideale invece sarà sedersi in una sedia di plastica dei tanti chioschi disposti sul lungomare e gustarsi il suo bel risotto o la spaghettata alle vongole.



Sferracavallo è una borgata non tanto famosa e turistica quanto Mondello, sono più gli abitanti del luogo o i palermitani a frequentarla, non è curatissima ed elegante, non ha una spiaggia, ma solo rocce ed un bel porticciolo, a volte è un po’ caotica, ma ha un fascino molto popolare che a me piace molto. Magari ne parlerò meglio in un prossimo post.

Adesso pensavo di presentare tre primi piatti a base di frutti di mare, che si trovano facilmente in tutte le trattorie e ristoranti di Palermo, che sono anche relativamente facili da cucinare a casa. L’ultimo, ovvero gli spaghetti col nero di seppia sono una vera specialità, il colore non è invitante, ma di certo non si può negare l’originalità, il gusto è strepitoso!


Spaghetti alle vongole

ingredienti per 4 persone: 500gr spaghetti, 1kg di vongole, aglio, olio, pepe, prezzemolo, vino bianco.



Preparazione:
Lavare le vongole. Metterle in una ampia padella con l’olio extravergine d’oliva. Quando le vongole si saranno aperte, filtrare il brodo lasciato dalle vongole (per evitare la presenza di sabbia o altro). Far saltare in padella le vongole con aglio e olio extravergine d’oliva, aggiungere il brodo e successivamente il vino bianco. Far evaporare. Cuocere gli spaghetti con acqua non troppo salata, scolarli al dente ed unirli alle vongole. Amalgamare il tutto. Aggiungere il prezzemolo fresco spezzettato e servire.

Spaghetti allo Scoglio:
Ingredienti per 4 persone: 500 gr di spaghetti, 250 gr di calamari, 250 gr di gamberi, 200 gr di vongole, 200 gr di cozze, 200 gr pomodorini o polpa di pomodoro pelato, olio extra vergine d’oliva, peperoncino, prezzemolo, pepe.



Procedimento:
Lavare bene tutti i frutti di mare. Mettere in una padella capiente olio, peperoncino e uno spicchio d’aglio schiacciato (e senza il germoglio interno). Dopo un po’ aggiungere le vongole e il vino bianco, quando si iniziano ad aprire le vongole aggiungere le cozze, i calamari tagliati a pezzetti , i gamberi e dopo qualche minuto unire i pomodorini tagliati a metà o la polpa di pelato. Unire la pasta scolata al dente al condimento e far saltare in padella per pochi minuti. Aggiungere il pepe e il prezzemolo tritato.

Spaghetti al nero di seppia
Ingredienti per 4 persone: 500 g di spaghetti, 250 g di seppie, 3 spicchi d'aglio, 500 g di pomodori pelati, mezzo bicchiere di vino bianco, olio extravergine d'oliva, prezzemolo, peperoncino, sale.




Pulire le seppie, stare attenti a prelevare il sacchetto con il nero, e tagliuzzarle. In un tegame soffriggere nell'olio gli spicchi d'aglio, aggiungere le seppie. Successivamente. Versare il vino e fare evaporare. Unire i pomodori pelati e tagliuzzati , aggiungere il sale e cuocere a per circa 20 minuti. Aggiungere un pizzico di peperoncino, il prezzemolo tritato e alla fine aggiungere il nero di seppia contenuto nel sacchetto. Cuocere gli spaghetti, scolarli al dente e mescolarli nel tegame con il condimento. Decorare con prezzemolo tritato.

Buon appetito!
Blog Widget by LinkWithin