lunedì 25 luglio 2011

Polpette di melanzane origliate al mare



E’ giusto origliare ciò che si dicono tra loro i bagnanti vicini di ombrellone al mare?

Denota forse un alto “senso di intricanza” (mettere il naso negli affari altrui) o di “malo chi ffari”(non aver nulla di interessante da fare nella vita)? E’ forse la reazione a tutto il gossip, i dossieraggi, le intercettazioni, i grandifratelli etc di cui siamo ormai spettatori inconsapevoli quotidianamente?


Cosa sarà mai?


Io, quando mi ritrovo “involontariamente” coinvolta in certe attività di “osservazione” di altri esseri umani, mi giustifico dicendo a me stessa e a chi mi sta vicino, che è una attitudine all’antropologia, studio del comportamento umano!


Ora non è che passi il mio tempo a squadrare gli altri, ma se faccio la fila alla posta o al super mercato, o ancor meglio se sono sdraiata in spiaggia a prendere il sole (cosa che tra l’altro non sopporto), e sento qualcuno a me vicino che parla, non riesco del tutto ad autoisolarmi, ed alla fine non posso fare a meno di ascoltare i discorsi altrui (d’altra parte trattasi di chiacchierate pubbliche) ed a rilevare soprattutto gli argomenti che mi fanno sorridere, frasi tipicamente palermitane, discorsi comici, o anche racconti di ordinaria umanità, storie di zitiamenti (fidanzamenti) o di divorzi, parole di vanto o litigi condominiali, insomma, l’umanità tutta è molto interessante ed anche divertente!


Ma sta volta ad “origliare” in spiaggia non sono stata io, bensì mia madre (buon sangue non mente!), infatti mentre io facevo un bel bagno ristoratore, lei si era appena coricata sulla sua sdraio, dopo aver soccorso una donna punta da un’ape, e visto che non riesce a stare ferma senza far nulla nemmeno per cinque minuti, cosa fa: ascolta due signore sdraiate proprio a due centimetri di distanza (s-vantaggio delle spiagge pubbliche). Ma di cosa potevano parlare due signore abbronzatissime, con costume dorato e maculato, capelli perfettamente pettinati e trucco impeccabile (ma come facevano a mantenersi così in ordine al mare?)? Ma ovviamente di... cucina!!! E chi non ama parlare di cibo? Non ci sono differenze sociali, di genere, di linea, di età, di religione che tengano, a tutti prima o poi verrà voglia di raccontare una ricetta o di pensare a un buon piatto succulento!


Così torno sul mio telo mare e mia madre mi dice: “sai quante buone ricette conosceva quella signora con le trecce?” e comincia ad elencarmele una ad una, ma la più dettagliata era una ricetta tipicamente siciliana, le polpette di melanzane, ma con una genialata della signora trecciuta (forse non l’ha inventata lei, ma io non l’avevo mai sentito dire prima): cuocere la melanzana intera al microonde, per spellarla più facilmente e non farle assorbire troppa acqua (facendola bollire).

Insomma come poteva mia madre non ascoltare tutte quelle ottime ricettine? E così ecco riportata fedelmente la ricetta della signora del mare. Dopo qualche giorno mia madre diceva già: “la signora mi ha detto...” ed io: “ti ha detto?” e lei: “si vabè, nel senso che lo diceva alla sua amica...”.

Ricetta: polpette di melanzane della signora con le trecce


ingredienti: una melanzana, un uovo, basilico (o menta), due fette di pane raffermo, tre cucchiai di formaggio grattugiato, pan grattato (quanto basta), uno spicchio d’aglio, dei tocchetti di ricotta infornata (questa è una mia aggiunta).


Passata di pomodoro fresco.


Lavorazione: lavare e asciugare la melanzana, metterla nel microonde alla massima potenza per circa dieci minuti, ad un certo punto si sentirà una sorta di esplosione (almeno a me è capitato così), ma non demordere, è solo la melanzana che si va cuocendo. Quando è morbida si può cominciare a spellarla e ridurla in poltiglia. Aggiungere il pane raffermo inumidito con dell’acqua e tutti gli atri ingredienti, se l’impasto è troppo morbido si potrà aggiungere del pangrattato. Formare delle polpettine e l’ideale sarebbe friggerle in olio bollente, io però volevo essere dietetica ed allora ho messo le palline in una teglia coperta di carta forno unta di olio evo e cotto al forno. Il risultato è buono, ma ovviamente le polpette fritte sono 1000 volte più squisite. Ho servito le polpettine sulla passata di pomodoro fresco (condita solo con del basilico), e devo dire che erano proprio gustose, grazie signora con le trecce!

giovedì 14 luglio 2011

Crostata di “gelo di mellone” con caldo afoso



Cosa ho deciso di fare in una normale giornata di luglio, ore 15 circa, temperatura all’ombra di 35 gradi (in cucina, di 50 gradi), umidità a livelli

inimmaginabili?


Preparare uno dei miei dolci preferiti: la crostata di “gelo di mellone” .



E’ pur vero che il termine gelo farebbe pensare ad una piacevole frescura, ma questa, nel caso del “gelo di mellone”, c’è solo nell’atto di mangiarlo e non di certo nel cucinarlo, soprattutto quando il caldo è insostenibile anche prima di aver acceso i fornelli.


Purtroppo però ogni tanto si scatena dentro di me il raptus della “cuciniera masochista”, alterego della “lagnusia acuta” che generalmente mi caratterizza, e così, da che non faccio assolutamente nulla, scelgo dei momenti impensabili, umanamente insostenibili per cominciare a cucinare piatti che avrebbero bisogno di tempo e rilassatezza, ma soprattutto di un clima più accettabile. Ripensandoci la mia forse è solo una questione genetica, visto che mia nonna in questi giorni (lei però ha il raptus perenne) ha cucinato peperoni ripieni, milincianeddi ammuttunati, sarde a beccafico etc. Cosa sarà mai in confronto il mio “gelo di mellone”, anche se prepararlo significa stare davanti una pentola piena di liquido bollente da mescolare in continuazione?



E insomma oltre al raptus ed al gene di nonna Ina, c’è pure il fattore palermitanità. Infatti io, come tutti i palermitani, adoro il gelo di mellone, in ogni sua forma o versione, amo quel suo profumo speziato, amo gli aromi che emana, amo gelsomino e cannella, amo la consistenza morbida ed il suo sapore delicato ma fortemente originale, così di tanto in tanto quando vedo un’anguria, non riesco a resistere alla tentazione, e se ho l’ispirazione la trasformo immediatamente in gelo.



In un post di qualche tempo fa ho descritto l’amore che i palermitani riservano all’anguria, che mangiano in chioschi e chioschetti, che portano al mare e che d’estate non manca mai nelle tavolate con amici e parenti. Durante il Festino di Santa Rosalia, usano poi nobilitare l’apprezzato frutto rendendolo un dolce raffinato e delizioso, in onore della santa e soprattutto del proprio palato. E così visto che è tempo di festino io ho preparato un dolce a base di “gelo di mellone”, una bella crostata (di solito è più facile trovarla nei banchi delle bellissime pasticcerie palermitane, in formato mignon).


Il tutto (caldo a parte) in realtà è molto semplice, basta preparare il gelo (con un litro di succo di anguria ho fatto una crostata e tre coppette di gelo) ed una normale pasta frolla, io ho usato questa ricetta classica:


Ingredienti

Per la pasta frolla: 250 g. di farina; 2 tuorli d’uovo; 100 g. di zucchero; 100 g. di burro, 1 tazzina di latte (o liquore di proprio gradimento).

Per il gelo: 1 litro di succo di anguria, 80gr di amido, 200gr di zucchero, 1 bastoncino di cannella, 1 cucchiaio di fori di gelsomino, gocce di cioccolato, pistacchi (se possibile).


lavorazione:

preparare la pasta frolla mescolando bene gli ingredienti, ottenuto l’impasto della giusta consistenza, formare una palla, avvolgerla in pellicola e riporla per un’ora in frigo.

Imburrare e spolverare di farina una teglia.


Foderare la teglia, compresi i bordi, con la frolla, decorare i bordi con una forchetta. Bucherellare la pasta frolla con la forchetta, e poggiarvi sopra un disco di carta da forno da ricoprire con del riso (o fagioli secchi) per non far gonfiare la pasta frolla. Far riscaldare il forno a 180°, e infornare per circa 40 minuti.

Togliere dal forno e far raffreddare. Quando è fredda si può togliere dalla teglia e metterla in un piatto.


Preparare il gelo: Togliere la buccia e i semi neri e passare l’anguria al passa-pomodoro fino ad ottenere un litro di succo. Mettere in infusione i fiori di gelsomino in poca acqua calda. Versare in una pentola il succo, aggiungere l’amido e farlo sciogliere a freddo. Aggiungere lo zucchero e cannella, mettere sul fuoco e mescolare, portare al bollore, quando si addensa spegnere il fuoco e aggiungere l’acqua aromatizzata dai gelsomini e mescolare. Quando è tiepido si potranno aggiungere le gocce di coccolato.




A questo punto quando il gelo sarà tiepido si potrà versare sulla frolla. Sarebbe ideale decorare il tutto con le gocce di cioccolata, con i gelsomini e della granella di pistacchi (che io però non avevo). A questo punto far raffreddare e riporre in frigo per solidificare il tutto.


Bisogna dire che ci sono due diverse versioni di crostata al gelo. Quella che ho preparato in questo caso prevede che la crema di gelo non venga poi cotta al forno, ma messa sulla frolla già cotta, nella seconda versione invece la crema di gelo verrà messa sulla frolla cruda e successivamente cotta al forno (in questo caso le decorazioni si potranno fare con la pasta frolla cruda). Io credo che entrambe le versioni siano ottime e da provare.


Infine degli ultimi ringraziamenti a chi, se pur ignaro, mi ha permesso di preparare questo dolce (e di conseguenza anche di scrivere questo post): il fruttivendolo Orazio che ci ha venduto alla cieca una anguria di 5 kg che è risultata gustosissima (evitandoci di utilizzare tutti quei metodi improbabili che servono a testare la dolcezza del frutto), la mia piantina di gelsomino che malgrado il caldo e la mia incuria ha prodotto dei fiorellini semimoribondi che però hanno dato al gelo l’aroma misterioso ed esotico di questo fiore così piccolo ma così unico. Ed infine le zanzare che spesso mi assalgono in cucina (chissà perchè poi), che questa volta mi hanno risparmiata soprattutto durante l’atto di eliminazione dei semini neri dall’anguria, azione durante la quale divento particolarmente tesa e concentrata (e lì le punture di zanzara sarebbero totalmente devastanti...).


Dopo di che cosa altro dire se non: “viva Palermo e viva Santa Rosalia!”

lunedì 4 luglio 2011

Pic-nic sul Lago Poma in stile palermitano doc



Cosa fare in una domenica assolata?
Si potrebbe andare al mare, ma c’è di certo troppa confusione, gente ammassata sulla spiaggia, ombrelloni ovunque, ragazzini che giocano con la palla (che al 90% finirà sulla mia testa), piedi del vicino di tovaglia (noi palermitani il telo mare lo chiamiamo così, forse perchè ossessionati dal cibo non solo di strada ma anche di sabbia) a due millimetri di distanza etc. Forse meglio optare per gli scogli, ma qui sono bellissimi ma tanto ripidi, prima di toccare l’acqua devi inerpicarti in rocce di ogni tipo, calarti giù come un alpino, “scalare i muri lisci” etc, e tutto ciò sotto il “pico” del sole di mezzogiorno (bè facciamo un pò tardi la domenica...), non mi pare il caso. Si potrebbe trovare un monte, ma io sento un bisogno atavico di vedere acqua, ed allora cosa c’è di meglio del ... lago?



Si potrebbe andare al lago di Poma, è abbastanza vicino, l’acqua ovviamente c’è e di sicuro sarà più rilassante e silenzioso della spiaggia.
A me piace tanto il rumore silenzioso del paesaggio lacustre, il fruscio delle canne sfiorate dal vento (soprattutto dopo aver letto il bellissimo romanzo della Deledda), lo scrosciare delle piccole onde, il canto degli uccelli...



Mi piace l’idea dl pic-nic sull’erba fresca, selvaggia, umida, mi piace stare a piedi nudi e mi piace osservare i bei panorami.



E lago sia!

Per arrivare al lago Poma da Terrasini, bisogna prima arrivare a Partinico.
Partinico è grande ma di indicazioni nemmeno l’ombra, fortuna che noi siciliani siamo socievoli e disposti ad aiutare, così troviamo un buon uomo e gli chiediamo: “scusi sa dov’è il Lago Poma?”.
Le cose sono due, o il nome “Poma” c’è scritto nelle cartine, ma in realtà nessuno lo conosce, o forse noi abbiamo trovato l’unico uomo di Partinico che non conosca il Lago di Poma, di fatto ci risponde stupito: “Che???” , “quali lago???” “un ci nn’è”.
Allora sconvolti all’idea che il lago sia scomparso improvvisamente, ci riprendiamo e diciamo: “forse il lago di San Giuseppe Iato ?” ed il buonuomo: “ah cierto, aviti a ghiri grittu di da e poi da, e poi da, e poi da...” insomma una volta chiarito l’arcano, si sbraccia come una hostess che spiega le procedure di salvataggio e ci spiega contento come arrivare al lago.

E’ ormai tardi quando arriviamo e quindi decidiamo di entrare nell’area attrezzata per non girare ancora troppo cercando le altre stradine d’ingresso.

Non ci sono troppe persone, due famigliole appena arrivate, sembra tranquillo.



Ci allontaniamo dalle panche e dai tavoli e andiamo proprio in riva al lago, e come piace a me, stendiamo sul prato un copriletto vecchio (lo so, lo so non è il classico plaid da pic-nic, ma è ciò che ho trovato all’ultimo momento) e cominciamo a mangiare la pizza che avevo portato (lo so, non è certo il classico menù da pic-nic in stile palermitano doc, ma questo avevamo a disposizione).



Quando il relax è ormai completo, la pancia piena, lo sciame di api sembra averci finalmente abbandonati, dei bellissimi cavalli nitriscono in lontananza, le fronde di un albero si muovono lentamente, si sentono piano anche i risolini di alcuni bimbi che giocano allegramente, tutto è lieto, tutto è placido, sento la voce di Massimo che sussurra: “quasi quasi mi addormento” e....

improvvisamente si scatena l’inferno, un frastuono esplode improvviso, sembra un tuono, sembra, sembra, sembra.... ma cos’è???

Sono effetti da palermitani doc.

Infatti a pochi metri da noi c’è una famiglia palermitana doc, impossibile per me, pure palermitana, non riconoscere l’accento (e poi noi palermitani ci facciamo riconoscere... ovunque!), che ha pensato bene di impiantare uno stereo gigante, quelli tipici degli anni ’80- ’90 che si trovavano nei salotti buoni delle famiglie, quelli grandi con il mobiluccio nero e le antine di vetro (con i pomelli dorati), a cui però erano attaccate due casse tipiche da concerto di piazza (alte quasi un metro). Lo stereo per funzionare era ovviamente attaccato abusivamente a qualche palo elettrico, e manovrato da un omone a petto nudo con panza pelosa e prominente. L’omone alza di botto il volume, sembra una discoteca, escono note sublimi accompagnate da parole altrettanto poetiche tipo: “annacati, annacati” (dondolati, dondolati) di non so quale canzone meravigliosa, e poi note latino americane sparate a tutto volume. Gli ucellini scappano via, e anche le api sussultano, i bimbi ballano con movimenti sconnessi. Gli adulti invece rimangono come in catalessi, forse allietati dalla musica o obnubilati dai tremila decibel, o storditi dalla quantità di cibo ingerita, rimangono serafici al loro posto, sorridenti, soddisfatti del loro stereo e della bella giornata.

Ecco, adesso arrabbiata per quell’imposizione li guardo, li osservo, e vedo tutto quel favoloso patrimonio di palermitanità...

Ci sono i "picciriddi ca juocano" (bambini che giocano), urlano, sono almeno una decina, in pantaloncini o in mutande e canottiera tipo anni ’60, uno tira le pietre ai cavalli, uno ha la testa tutta fasciata, gli altri ballano, corrono e si “strummuliano” a terra (fanno capriole come trottole).
Pi ci sono le mamme in fuseaux fucsia e ciabattine con gli strass, che si muovono rapide e servono le pietanze ai tavoli, ci sono le giovincelle con pancia di fuori e frangetta, c’è la donna incinta (perchè qui la natalità è sempre in crescita), ci sono pure due nannò (nonne) sotto un ombrellone impiantato appositamente per loro (anche se tutta la zona è alberata),



e gli uomini, che splendore! C’è quello panciuto dello stereo, poi c’è quello secco secco che si occupa “dell’arrostitura”, poi ce ne sono altri di varie età, tutti mostrano il loro petto villoso con orgoglio, si allietano a giocare a carte, bere birra e addentare puntine di maiale, ali di pollo, sasizza (salsiccia), stigghiole e quant’altro con foga. La loro tavola è imbandita a festa, ci sono bibite di ogni tipo, wow c’è pure la spuma, hanno tante borse frigo contenenti di tutto, e arrostiscono alla brace qualunque genere di cibo (animale e vegetale), che ormai noi, oltre che dalla musica, siamo avvolti anche dal fumo e non vediamo più nulla (altro che nebbia in val padana).

A quel punto comincio a ridere perchè, come si fa a resistere a tutto ciò? E poi bisogna ammetterlo, a noi improvvisatori di pic-nic, è stata data una vera lezione di stile, di stile palermitano doc, primi nel mondo a saper organizzare le scampagnate in ogni dettaglio!

Ora le possibilità sono diverse, o andare dai cari vicini di lago, con tono risoluto e dire: “scusate, ma vi sembra corretto dover mettere la musica così alta e tralasciamo tutto il resto?”, oppure, per non risultare provocatori parlando troppo “tischi toschi” (in perfetto italiano), si potrebbe dire con accento siculo: “ma scusassi, ci pari giustu ca m'ha sientiri a so musica puru iu?”, oppure più concilianti e bonari: “scusate, vi dispiacerebbe abbassare solo di un pochino il volume, se non vi disturba troppo però...” e la risposta sarebbe sempre la stessa : “ma chi minc.... vuoi!!!!”.

Parlando a gesti (perchè la musica è così forte che non riusciamo nemmeno a sentirci tra noi due), decidiamo di andar via, volevamo il relax, ci manca solo una sciarra (lite) e siamo a posto...

Ma il lago è grande, il lago è bello, il lago nasconde sempre tante sorprese....

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