sabato 16 aprile 2011

Bosco di Bonifato, seconda gita ad Alcamo con cripta inquietante e “capitelli dell’homo sapiens”




La mia recente passione per la cittadina di Alcamo, ha trovato ulteriori conferme.

Avendo approfittato di un’ ulteriore soleggiata giornata, ho visitato il bosco del monte Bonifato, proprio a ridosso di Alcamo e non potevo non fare anche una tappa nel centro del bellissimo paese per ritrovare e fotografare i fantomatici capitelli “dell’homo sapiens” che, il gentilissimo signore che avevamo conosciuto la volta scorsa, ci aveva segnalato e che la mia fotocamera non era riuscita a immortalare per la mancanza di luce solare.



Questa seconda escursione mi ha fatto ancora di più affezionare ad Alcamo e ai suoi dintorni, ed è stata in più arricchita da uno stranissimo fenomeno atmosferico: la nebbia sul mare, che ha donato al panorama già splendido, un fascino particolare e un senso di mistero.



Un solo neo, non essere riuscita a raggiungere i ruderi del castello per i motivi che di seguito elencherò, fattore che pur negativo, riserva sempre un lato positivo, la necessità di un ritorno, ed una domanda “filosofica”: “perché le mie passeggiate sono sempre incompiute, riuscirò mai a trovare ciò che cerco?”. Filosofeggiamenti sulle passeggiate e sul senso della vita a parte, ecco a voi il bosco di Alcamo, mancante di castello, ma ricco di natura, aria pura e panorami affascinanti.



Questo bellissimo bosco è anche una riserva naturale protetta con alberi e animali rari, dove esistono i resti di un insediamento risalente all’età del ferro, che ovviamente io non ho trovato… Sulla sommità del monte c’è anche il castello del XIV secolo ed anche quello non l’ho trovato.

Adesso urgono delle spiegazioni per dire come mai dopo trenta kilometri di strada, dopo aver raggiunto un monte percorrendo un po’ di curve (non spiacevoli comunque) e fatto pure una scarpinata a piedi, non abbiamo trovato un castello con quattro torri. I fattori principali sono: la lagnusia, l’incapacità di orientamento, la timidezza, l’assenza di indicazioni.



In primo luogo è incredibile che in tutta la riserva non ci fosse un cartello in cui si indicasse esattamente dove ci trovassimo e che al centro di un bivio ci fosse un solo cartellino con disegnato un “castello” senza però una freccia che facesse capire in quale strada dovessimo andare, magari una freccia bella grande e chiara anche per due confusi (e non fusi) e disorientati come noi. Anche il fattore lagnusia ha avuto la sua parte: dopo aver percorso un pezzo di strada in ripida salita, ci siamo domandati: “e se non fosse questa la strada giusta, avrebbe senso faticare ancora per non trovare nulla?”. Di comune accordo, col fiatone e con veramente una scarsissimo senso atletico, siamo tornati indietro. Ovviamente solo dopo abbiamo scoperto che quella era la via giusta.



 Infine il fattore timidezza: c’erano infatti alcune persone non troppo distanti a cui poter chiedere informazioni, ma come si suol dire “ci pareva male”, ovvero non volevamo disturbare, ogni tanto qualcuno dice di noi: “sunnu privi” intendendo che siamo timidi e riservati, evvabbè!

Fatto sta che, castello e ruderi a parte, abbiamo fatto delle bellissime passeggiate nei viottoli alberati.



Ad un certo punto nel silenzio rasserenante del bosco abbiamo sentito delle voci, sempre più perplessi andavamo avanti, non si vedeva assolutamente nulla, ma le voci erano sempre più forti. Consapevoli di non aver bevuto e di non avere allucinazioni, abbiamo proseguito, fino a quando come per incanto, dal nulla, sono apparse circa cento persone che giocavano, urlavano, mangiavano e arrostivano in una zona attrezzata del bosco.



Poi in auto abbiamo continuato il percorso e trovato un altro spiazzo dove lasciare la macchina, li c’era il famoso bivio del castello. Abbiamo percorso un po’ di strada a piedi. I panorami erano fantastici, la nebbia che si vedeva dall’alto e che non lasciava intravedere il mare ed avvolgeva tutto col suo candore umido e teporoso, dava un fascino speciale. Solitamente dal monte Bonifato si possono vedere addirittura le isole di Ustica e di Marettimo, ma noi vedevamo solo la bella coltre di vaporose nuvole. Abbiamo poi saputo che quello strano fenomeno aveva reso difficile l’atterraggio di diversi aerei a Punta Raisi.



Dopo aver respirato la nostra dose di aria pura, abbiamo deciso di tornare ad Alcamo per prendere un caffè e trovare i “nostri capitelli”. Prima di tutto però, ci è capitato di intrufolarci nei ruderi della chiesa dell'Annunziata, “imbucandoci” in un gruppo organizzato.



 Questa ex chiesa in stile Gotico-Catalano è molto particolare, è a cielo aperto



ed è costruita su una piccola cripta usata come catacomba dai monaci francescani.

Un signore che faceva da custode alla chiesa, ci ha spiegato che nella cripta, si essiccavano i monaci francescani defunti, che poi venivano appesi nei loculi ed altre cose macabre legate a quella ritualità, dopo di che, ci ha invitati a scendere le scalette per vedere più da vicino quel “luogo ameno”, dicendoci però: “tra cinque secondi chiudo”, a quel punto ho pensato che non avevo proprio tutta questa voglia di scendere… ma mi sono fatta coraggio.



Alla fine anche il custode ci ha raggiunti, ci ha mostrato un altare, un antico affresco ormai quasi del tutto deteriorato che probabilmente rappresentava il momento in cui San Francesco aveva ricevuto le stimmate da Gesù, il commento del custode è stato: “è un peccato, sta crollando, la muffa e l’umidità lo distruggeranno, ma che ci vogliamo fare, siamo in Italia e pure in Sicilia”.



Dopo abbiamo visto il punto in cui si essiccavano i monaci, con relativo commento del custode: “erano bassini di statura questi monaci”, per un attimo ho pensato con orrore al mio metro e mezzo di altezza…



Poi ho fatto le foto con nonchalance e siamo usciti all’aria aperta, finalmente!

Alla fine siamo arrivati in Piazza dai capitelli, che ci mancava poco ed era di nuovo sera e non riuscivo a fare le foto per la seconda volta…



E poi passeggiatina allietata dalla vista di belle chiese,



 campanili,
 


 scorci, balconcini etc.



E così si è conclusa la seconda “visita incompiuta” ad Alcamo, con la voglia di vedere, la prossima volta, il castello, i ruderi ma soprattutto di fare una nuotata nel bellissimo mare!

sabato 9 aprile 2011

Alcamo, una passeggiata, un incontro. Involtini di pesce spada.

 Dopo due settimane trascorse nella quasi serafica sopportazione di ogni tipo di influenza, che ha “perseguitato” me e tutti i miei familiari, adesso forse guarita, solo un po’ di tosse ancora, ho finalmente potuto fare una passeggiata domenicale (se pur in serata) che mi ha permesso di scoprire un paese non troppo distante da Terrasini (e da Palermo), un paese che non avevo mai visitato e pur avendolo visto ormai all’imbrunire, mi è sembrato bellissimo, e per quanto abbastanza conosciuto (soprattutto grazie al vino che vi si produce), credo meriti ancora più fama e rilievo di quanto ne abbia adesso: Alcamo.


Conosco da sempre Alcamo marina, e soprattutto la sua spiaggia molto bella dove spesso mi è capitato di andare al mare, sia da piccola che in tempi più recenti.



Ho dei vaghi ricordi d’infanzia del Monte Bonifato dove c’è un bel bosco che si trova proprio a ridosso della bella cittadina, ed anche “conoscenze gastronomiche”, legate al ristorante Bahìa, vicino al mare,



dove si mangia un ottimo cous cous al pesce.

Ma ad “Alcamo paese” non ero mai stata, sapevo essere molto bello, grande e ricco di monumenti, ma vederne il centro storico, seppur di fretta, è stato molto piacevole, mi dispiace solo che la mia macchina fotografica di sera non faccia delle foto decenti, ma sarà la scusa in più per fare un’altra visita durante una di queste belle giornate soleggiate.
Alcamo ha origini arabe, questa è l’unica certezza, ho infatti trovato almeno quattro diverse interpretazioni riguardanti l’origine del suo nome: secondo la prima deriverebbe dal termine arabo Alqamah (fango) per intendere una terra fertile, una seconda teoria fa originare Alcamo da Al-Kamuk, il comandante arabo che l’avrebbe fondata. Oppure sembra che l’avessero fondata nel 827 attorno a un piccolo castello e avesse preso il nome dall’ emiro arabo che si chiamava Al-Qamah. Un’ altra ipotesi fa originare il nome Alcamo da “Mazil Alqamah” dove per mazil si intende un gruppo di case e con alqamah un cocomero velenoso (ma non era il fango fertile??? ).

Ad Alcamo poi si susseguirono diverse dominazioni che lasciarono i segni del loro passaggio. Ci sono tantissime chiese e monumenti di pregio grazie anche al contributo di diverse personalità artistiche (come il pittore Borremans o gli scultori Gaggini e Serpotta).



Non voglio descrivere qui queste Chiese così belle, che sono davvero tante e oltretutto andrebbero visitate all’interno (cosa che non abbiamo potuto fare perché era già sera), e perché meriterebbero studi più approfonditi, ma semplicemente raccontare una bella passeggiata che ha lasciato vivo il desiderio del ritorno, una sensazione di arricchimento e l’orgoglio di vivere in una terra che va sempre riscoperta e che malgrado il degrado e l’incuria che troppo spesso purtroppo non fanno fiorire, come dovrebbe, il grosso patrimonio culturale che ci è stato lasciato dai nostri predecessori, riesce comunque sempre a meravigliare e a regalare belle emozioni.

Noi abbiamo parcheggiato in un belvedere che è una sorta di cinta muraria, e tramite la Porta Palermo,


una delle porte della cittadina, siamo entrati nel corso principale che ha subito mostrato le sue bellezze, diversi scorci suggestivi, un bellissimo portale,

angoli illuminati dalla luce fioca dell’imbrunire, Chiese, monumenti, balconcini, diversi stili architettonici che si intrecciavano armoniosamente. Siamo arrivati in una grandissima piazza dove dominava su tutto il Castello del XIV-XV secolo,

 
si può aggirare in tutto il suo perimetro e che fortunatamente è ristrutturato e ben illuminato.

Poi siamo arrivati alla piazza principale, dove c’è una bella chiesa e un antico collegio dei Gesuiti. Vicinissimo al Collegio c’è la Cappella della Sacra Famiglia.

Questa Chiesetta appariva, già dall’esterno, affascinante e fortunatamente era anche aperta, così siamo entrati, poco dopo si è avvicinato un simpatico e particolare signore che si è mostrato desideroso di spiegarci alcune cose della cappella e di Alcamo.

Ci ha spiegato che quella Chiesa era stata costruita dai Gesuiti cento anni prima del Collegio. Ha cominciato così: “Bisogna ricordare… che Alcamo sorge in un luogo molto bello, tra il monte Bonifato, il mare, e le acque termali, è vicina a due aeroporti, quello di Trapani e quello di Palermo...” e poi: “sapete chi erano i Gesuiti? Se non lo sapete ve lo dico io”, e senza darci il tempo di fiatare, ha continuato: “bisogna ricordare… che i nobili e ricchi signori avevano tanti figli, i primogeniti ereditavano il titolo, ma gli altri non potevano, allora venivano fatti entrare nel clero con delle ricche doti”, “con queste doti costruivano chiese e conventi”.

Poi ci ha mostrato i simboli della Sacra Famiglia che si trovavano sul portale e su un palchetto di legno: il sole nascente e le spighe. Ci ha segnalato le teche con le reliquie di S. Casimiro (“Bisogna ricordare … che era vice re della Polonia, è per questo che sulla teca c’è una corona”), S. Paolino e S. Benedetto il moro (che si trova pure a Palermo a Santa Maria di Gesù).

Poi ci ha detto: “Bisogna ricordare che ad Alcamo c’è stato il terremoto, ed allora delle tele andate distrutte sono state sostituite da quelle fatte in anni più recenti dal pittore alcamese Gino Speciale”. Poi ci ha mostrato una tela di Giusseppe Renda (pittore Alcamese del 1700) e una tela mancante (La Madonna del lume) che stanno restaurando, una piccola scultura di smalti e coralli rappresentante la sacra famiglia, ed infine un trono d’oro appena restaurato.

Questo signore ha poi voluto accompagnarci nella piazza perché ha detto: “tanti miei concittadini non sanno che qui ci sono dei capitelli risalenti all’homo sapiens, vanno in giro a cercarli per il mondo mentre ce li abbiamo pure qui”. “Ora ve li faccio vedere, seguitemi”. Poco distante c’era un portale con due colonne i cui capitelli rappresentavano una donna e un uomo e al centro della porta un bambino, più avanti in un’altra colonna il volto di una donna.

Ora, dubito che si tratti di resti dell’homo sapiens, e non solo la mia fotocamera non è riuscita a fotografarli, ma non ho nemmeno trovato nulla nella mia piccola ricerca su internet riguardo a questi capitelli e alla loro storia, però erano molto belli e particolari e mi piacerebbe tanto saperne di più.

Il gentile signore ha continuato: “Bisogna ricordare… che c’era il “Principe Pria”, che viveva a Palermo, ma poi giunse ad Alcamo ed aveva un figlio maschio e una femmina, fece scolpirli nei capitelli, prima qui c’era l’erario, ora lo hanno acquistato famiglie di privati”.

Insomma dopo un po’ ci siamo salutati, con la promessa di rincontrarci e farci raccontare altre storie. E sempre bello passeggiare, anche inconsapevoli, per i luoghi e fare incontri, che ti lasciano sempre qualcosa, arricchiscono e dimostrano come gli umani, malgrado vivano in un mondo ormai disgregato e virtuale, sentano sempre e comunque il bisogno di comunicare e interagire tra loro, stare vicini e raccontare le proprie storie, ed a me le storie piacciono tantissimo, sia vere che…verosimili!

Per premiare la pazienza di chi è arrivato fino a qui, una semplice ricetta:

Involtini di pesce spada.


Ingredienti: quattro fette sottili di pesce spada (eventualmente batterle). Succo di un limone, olio evo (quanto basta) un cucchiaino di zucchero, foglie di alloro, cipolla. Per il ripieno: quattro cucchiai di pangrattato (un cucchiaio circa per ogni fetta), una manciata di uvetta e pinoli, un pezzetto di cipolla tritata, una manciata di prezzemolo, sale e pepe, un cucchiaio di olio evo.

Preparazione: In una ciotola mescolare tutti gli ingredienti del ripieno cercando di amalgamarli. Mettere un mucchietto di ripieno all’interno di ogni fetta di pesce spada e arrotolarla cercando di non far fuoriuscire il ripieno. Porre gli involtini in uno spiedo, intervallandoli tra loro con una foglia di alloro e un pezzo di cipolla. Metterli in una teglia preferibilmente su carta forno. Preparare un sughetto con dell’olio evo, il succo di un limone e lo zucchero (un cucchiaino), mescolare bene il tutto e versare sugli involtini. Mettere la teglia nel forno e cuocere per circa venti minuti.


Buon appetito!

Blog Widget by LinkWithin