martedì 29 settembre 2009

Sono una palermitana doc? Confronti. Polpette di sarde con salsa

Oggi un confronto per capire se sono una vera palermitana doc.

Ogni tanto mi pongo questa domanda, forse sarà la solita crisi dei trentenni ( e non sono una “mucciniana” e tanto meno una “mocciana” perchè per questo “non ho l’età”), o sarà che quando giro per Palermo mi sento piuttosto una marziana (e alle volte anche marxiana).
Nello stesso tempo però so di avere nel sangue tanto palermitanesimo e la cosa mi incuriosisce.
Quale miglior metodo allora se non confrontarsi con chi nella mia famiglia è il miglior esemplare del palermitano doc? Anzi di palermitana, perchè è opportuno che scelga il confronto con una donna.

Generazioni a confronto.

Mia nonna e il suo nome. Si chiama Caterina, nome che in famiglia hanno in tante. Sono almeno cinque cugine a portarlo, escludendo ovviamente nonne, bisnonne e nipoti, perchè una vera palermitana porta sempre il nome della nonna, da generazione in generazione. Come fanno a distinguersi tra loro? Semplice con i soprannomi o i diminuitivi. A mia nonna è andata piuttosto bene, la chiamano tutti Ina, non è certo stato così per alcune sue cugine, ad esempio Inaalaria (la brutta) o Inuccia a gruossa (la grassa), che è pure un controsenso.

Io e il mio nome. Mi chiamo Evelin. Sono stata segnata alla nascita. Ma che nome palermitano doc è Evelin? Ho spezzato incolpevole la tradizione. Ovviamente nessuno in famiglia lo porta, ma lo stesso ho tanti diminuitivi, Evi, Eve, Vela, Veluccia, Eveluccia, Veluzza, Eveluna, Evelina, Avelin e il più accreditato tra gli anziani, Evelinni. Vuoi la crisi d’identità?

Mia nonna e la famiglia. Come tante palermitane, che come u pani ca meusa, si dividono in schiette e maritate (zitelle e sposate), “si maritò” a venti anni, ma già aveva perso tempo per i suoi gusti, c’era la guerra di mezzo e mancavano i soldi per la dote e per il matrimonio (e mia nonna ci teneva molto a queste cose).
A quei tempi ci si vedeva col fidanzato solo in presenza della madre, e lei purtroppo non l’aveva più, dopo aver scomodato tutte le zie a disposizione, mio nonno la lasciò. Per ingelosirla, le passò davanti al balcone con un’altra, e mia nonna, che lo racconta ancora con orgoglio, senza versare nemmeno una lacrima, reagì simulando uno sputo davanti alla neocoppia. Mio nonno, forse impaurito, la sposò subito e ne rimase del tutto succube e follemente innamorato (ancora oggi).

Io e la famiglia. Ho quasi trentatre anni e non sono sposata. Convivo... E già qui è quanto dire. Mia nonna ha cominciato a prepararmi la “duota” (la dote) da quando avevo sei anni, ma io di sposarmi non ho mai avuto intenzione, da sempre allergica al matrimonio e all’abito bianco. Il mio compagno non è palermitano, cavolo, questo è grave, nessuno in famiglia aveva mai osato tanto, e in più non è un furestieru (del nord Italia), ma un siciliano, che qui viene detto dispregiativamente “paesanu”. Devo dire che per par condicio, anche i palermitani sono malvisti in tutto il resto della Sicilia, così io sempre sono e sarò “a palermitana”, che non è proprio un complimento.
Le persone anziane mi chiamano con sospetto “signurina”, perchè non sono sposata, così ora nel mio condominio ci sono due “signurine”, io e una vecchietta zitella di ottantanni.

Mia nonna e il lavoro. Fa la casalinga, da ragazzina lavorava in una ricevitoria, ma il nonno (vero palermitano doc d’altri tempi), appena fidanzato, la fece licenziare, perchè per una donna fidanzata non era concepibile lavorare e uscire da sola.
E’ un ottima casalinga, fa pulizie meticolosissime, tutta la sua casa brilla, passa ore e ore a stirare anche i calzini e le pezze per spolverare.
Malgrado il suo mestiere in casa, tutti la chiamavano “a levatrice” (l’ostetrica) perchè amava uscire e fare le visite alle parenti, fu anche tra le prime donne automobiliste palermitane doc, guida ancora oggi a ottantatre anni.

Io e il lavoro. Prima studentessa e nel frattempo baby sitter e volantinatrice capo (promossa perchè malgrado la mia piccola statura, andavo veloce come un furetto), pochi giorni in un’Assicurazione, serviva un abbigliamento elegante e femminile, visto il mio odio per la moda, dopo quattro giorni in cui rispolverai gli abiti da matrimonio che avevo nascosti nell’armadio, dovevo ricominciare il giro... In più dovevo anche portare sfiga alla gente per farli assicurare!

Ora faccio la bedandbreakfastara, che non è proprio un mestiere da palermitana doc, in primo luogo perchè nessuno qui sa dire bed and breakfast, poi perchè in casa mia vivono “l’astranei” (gli estranei), i familiari per giustificarmi dicono che ho un albergo e che a Palermo non c’è lavoro.
Mi piace uscire, ma passo molto tempo in casa anche per via del mio lavoro, pulisco per ore e ore la zona della casa destinata al b&b, e stiro lenzuola e asciugamani senza tregua, però sotto il mio letto c’è un altro materasso di polvere, le mie lenzuola scricchiolano come fossero di carta e le mie asciugamani vanno bene per fare il peeling, quindi non sono una brava “massara” (brava massaia palermitana doc), ma nemmeno una “cusciuta” (donna palermitana che ama uscire), e un giorno una mia anziana vicina, vedendomi spesso in casa, mi ha consigliato di vedere le telenovelas come fa lei, per passarsi il tempo...

Mia nonna e la cucina. E’ qui che si giunge all’apoteosi del suo palermitanesimo. Lei cucina esclusivamente alla palermitana, non esistono influenze che so, magari da Messina o Catania, niente. L’alimentazione che seguono in famiglia è legata ad una serie di regole e tradizioni.
A pranzo si mangia la pasta, a cena il secondo. La domenica si mangia solo pasta “cu sucu” (con salsa di pomodoro) e carne impanata. Il venerdì pesce. Alcuni condimenti sono legati al formato della pasta. Impossibile non fare la pasta c’ anciova e i tenerumi se non con la margherita, oppure la pasta con sarde o broccoli arriminati se non con il bucatino. Alle feste si mangia la “pasta col forno”, ma solo con gli anelletti. D’estate prepara quintali di caponata, milincianeddi e peperoni ammuttunati. La pizza non esiste, si mangia solo sfincione. E poi la zucca rossa si cucina esclusivamente come “fegato ri setti cannuola”, i cardoni si fanno fritti in pastella, il riso si mangia solo a santa Lucia, e quel giorno al mattino, al posto del pane e latte si mangia la minestra di broccoli. Per il giorno dei morti tassativamente le muffolette, sempre a colazione. Tutto questo ancora oggi che lei e mio nonno hanno superato gli ottantanni. Alcuni cibi sono tabù, soprattutto panna e besciamella, ma anche i cibi surgelati e i barattolini. Ogni ricetta viene preparata da mia nonna con precisione e meticolosità, impiega molto del suo tempo a cucinare, se dovesse preparare la minestrina, preferirebbe fare lo sciopero della fame. Alla linea non è interessata, anzi il suo detto è “ a carni sta biedda a atta” (la carne fa bella la gatta).

Io e la cucina. Premesso che amo mangiare, amo la cucina palermitana, e cucino anche abbastanza bene, non riesco a seguire quasi nessuna regola, nel cibo come nella vita. Non so riproporre un piatto fatto sempre allo stesso modo, non ci riesco proprio, in cucina invento sempre e cambio tutte le ricette. La domenica che è un giorno di lavoro, spesso mangiamo cose già pronte o fast-cucina, ovvero le famose spinacine. Mangio anche il secondo a pranzo e la pasta a cena. Mi dimentico le feste, tranne ora che ho il blog. Faccio la pasta al forno anche con le pennette e i rigatoni (sacrilegio!) e i broccoli arriminati con le casarecce, però l’anciova è tassativamente con la margherita, lo ammetto! Amo il riso più della pasta, lo mangerei sempre. I surgelati sono la mia salvezza, come pure i barattolini di vongoline, di pesto e adoro la panna.

Ora è chiaro, sono una palermitana anomala, con un nome anomalo; nè schietta, nè maritata (altro che pane ca meusa); nè massara, nè cusciuta; in cucina sono di tanto in tanto irriverente, ma ci sarà un perchè se scrivo un blog sulla mia città, se conosco bene il dialetto sia antico che moderno, se il mio cibo preferito sono le arancine, se quando vedo il golfo di Palermo dall’alto di una montagna dico “la città più bella del mondo!”....

Per chi ha avuto la pazienza di leggere tutto questo, una buona sorpresa, e questa veramente palermitana. “I pulpetti di sardi cu sucu” (le polpette di sarde con salsa di pomodoro).


Questa è una tipica ricetta della cucina povera siciliana, di cui spesso le sarde sono l’ingrediente principale, visto il loro costo contenuto. Il tipico sapore agrodolce è dato dall’abbinamento con il salato, dell’uvetta sultanina e della menta. I pinoli erano usati nel passato prevalentemente per la loro funzione antibatterica, visto che a volte veniva cucinato “pisci fitusu” (pesce non propriamente fresco).

Ingredienti:
500gr di sarde, 1 uovo, 100gr di cacio cavallo, foglie di menta, una manciata di pinoli e uva passa, 500 gr di salsa di pomodoro, mezza cipolla, olio extravergine d’oliva.

Procedimento:
Pulire e squamare le sarde, togliere la testa , ottenere dei filetti e sminuzzarli. Unirli al formaggio, all’uovo, uva passa e pinoli e alla menta tritata. Amalgamare il tutto e ottenere delle polpette. Soffriggerle nell’olio e metterle in un piatto.
Nel frattempo preparare la salsa di pomodoro, insaporita da un soffritto di cipolla e da alcune foglie di menta. Versare nella salsa le polpette e farle cuocere per circa quindici minuti. Chi vuole potrà condire con la salsa un buon piatto di pasta.

venerdì 25 settembre 2009

“La spinacina”, la vera cucina palermitana. Per Jajo

Per chi volesse comprendere al meglio questo post, bisogna leggere quello precedente e soprattutto il commento di Jajo di cui riporto qui solo una parte: “P.s.: ora aspetto davvero il post sulla spinacina !!!”

Vista la richiesta non potevo far a meno di scrivere questo post su un piatto che è tra i miei preferiti e che potrei definire il mio “cavallo di battaglia”.

Oggi presenterò un tipico piatto della cucina palermitana, semplice ma elaborato e soprattutto gustosissimo, la cui origine è araba, ma che nel corso dei secoli, ha visto le influenze del tipico stile barocco siciliano, e questo è evidente nel suo aspetto estetico che mette in risalto il colore dorato tipico delle decorazioni delle chiese palermitane.

Il nome di questo piatto a base di carne è Spinacina, gli arabi le chiamavano “al sphinach”, ovvero trito di verdura energetica.

Un emiro della Kalsa, uno dei più antichi quartieri arabi di Palermo, era solito farsi preparare dai suoi cuochi delle frittelle costituite da un misto di verdure amare che avevano anche delle funzioni mediche ed energetiche.
Successivamente i famosissimi cuochi francesi chiamati Monsù, elaborarono questo piatto aggiungendo tocchetti sfilacciati di selvaggina, allietando così le tavole dei nobili del tempo.

Le donne del popolo, sostituirono le quaglie con del pollo, perchè basta un pò di fantasia per poter rendere gradito al palato anche il più povero degli ingredienti. Successivamente la spinacina fu conservata sotto sale o essiccata al sole, ma la più grande invenzione che i palermitani amano attribuirsi, fu quella di porle su delle lastre di ghiaccio e così conservarle per i periodi di carestia.
Il contributo che dagli spagnoli fu dato a questo succulento piatto, fu la delicatissima dorata panatura, che ancora oggi tutti i palermitani doc apprezzano.

Questo piatto tipico della cucina povera palermitana è molto semplice da preparare, è ottimo nei giorni di debolezza, ma soprattutto in quelli di lagnusia (pigrizia), poichè è molto semplice da realizzare e molto gustoso.


Ingredienti: spinacine surgelate, olio evo.

Ricetta: aprire il freezer ed estrarre una spinacina. A questo punto ci sono due diverse scuole di pensiero riguardanti la preparazione del piatto. Un modo molto apprezzato è quello di mettere dell’abbondante olio evo in una padella antiaderente, appena la temperatura è giusta (si può testare schizzando dell’acqua) immergere la spinacina per alcuni minuti, girarla e porla nel piatto di portata. Un altro metodo, il mio preferito, è quello di stendere su una teglia della carta forno e adagiarvi sopra la spinacina. Inserire la teglia nel forno caldo, aspettare qualche minuto e... Buon appetito!

Per chi volesse, è possibile aggiungere un tipico contorno palermitano a base di purè di fiocchi di patate, consiglio quello di marca “Noi Voi” che si può trovare nei tipici discount storici di Palermo.
Consiglio anche di intingere le spinacine in una tipica salsina agrodolce palermitana doc, il Ketchup, che ovviamente ha origini arabe.

Purtroppo non disponendo di macchina fotografica, al momento ho rimediato con una foto tratta da internet. Ma visto che il mio freezer è pieno di spinacine, prossimamente vedrò di fotografarle.


Vabbè, non sono ancora impazzita del tutto, questo post è una dedica a Jajo e a tutti i miei cari amici blogger!
P.s. per tutti i miei carissimi lettori: scusatemi per questo post in cui racconto "la finta storia della spinacina". Le cose che racconto, riguardanti le sue origini etc, sono solo frutto della mia fantasia. Volevo, dopo il post precedente, in cui mi lamentavo di non avere ispirazioni per nuovi post, perchè per ora cucino solo cibi surgelati e precotti, prendermi un pò in giro per questo, e soprattutto prendere in giro lo stile con cui di solito scrivo i miei post culinari, dove spesso cito le origini arabe dei piatti, elogio la cucina povera, esalto le doti di inventori dei palermitani.
Spero che questo mio gioco vi abbia un pò divertiti e... non dite in giro che vi ho "spacciato" le spinacine come un piatto tipico palermitano!!!

mercoledì 23 settembre 2009

Cosa scrivere? Nella ricerca dell'ispirazione...

Può capitare nella vita di una neoblogger di non riuscire a trovare l’ispirazione per un nuovo post.
Allora ti cominci a domandare il perchè.

Sarà che l’incostanza è una “dote” che non mi è mai mancata.

Sarà che paradossalmente quando hai meno tempo a disposizione, quando cioè il lavoro è più intenso, tiri fuori il supereroe che c’è in te e riesci a inserire tra una cosa e l’altra anche lo spazio per scrivere. Mentre quando si ha poco lavoro, tutto si rallenta e le poche cose che fai sembrano già troppe.

Sarà che il tempo libero lo hai occupato tutto a dipingere. A volte quando si ha l’ispirazione ci si tuffa in una cosa così intensamente e irrefrenabilmente, tanto da sentirsi una drogata che al mattino pensa solo a quello, e continua a farlo fino alle due di notte (chissà forse per recuperare mesi e mesi di totale astinenza dalla pittura).

uno dei miei ultimi quadri

Sarà che il tempo a disposizione invece che spingerti a cucinare tipiche pietanze palermitane da fotografare e commentare, ti porta a preparare “ottimi” pranzetti a base di spinacine e altri surgelati vari, che oltre a non essere tanto desiderabili al palato, sono per nulla da citare in un blog.

Sarà che la pioggia costante, dopo quattro mesi di caldo afoso, crea strane conseguenze, dal cattivo umore, alla poca frequentazione di bei luoghi da visitare e descrivere.

Sarà che il turismo è tanto in calo da provare una certa rabbia a parlare della tua bellissima città, perchè ti domandi se vale la pena continuare questa attività che ami tanto.

Sarà che il tuo compagno ha iniziato un nuovo lavoro precario e poco remunerativo, ma che è bello e complesso perchè a contatto con giovani in grosse difficoltà, ed allora siete presi a parlare di questo, a pensare a come lui possa sostenerli al meglio, e a come riorganizzare la vita in base ai suoi nuovi orari e turni diurni e notturni di lavoro.

Sarà che un dente ti ha massacrata di dolore, e dopo aver lottato per giorni in una stoica sopportazione, aiutata da bustine a base di nimesulide (efficaci soprattutto nel distruggere lo stomaco), sei andata dal dentista (cosa che rifiutavi di fare da almeno dieci anni, dopo aver trascorso anni nelle fredde sale d’attesa e sotto le grinfie dei dentisti, avendo portato da adolescente un odiosissimo “apparecchio”) ed hai scoperto che il dente è morto e non puoi fargli il funerale e basta, ma devi andare per ben tre volte a farti torturare, e se la lingua batte dove il dente duole, anche il cervello si concentra su quello.

Sarà che ti eri impelagata nell’idea di scrivere un post sul Gattopardo, perchè dopo aver rivisto il film di Visconti e ripreso in mano il romanzo, volevi parlare della sicilianità, di quel senso di apatia che ci attanaglia, dovuto alla nostra storia ma anche alle asperità del clima, di quel sentirsi degli Dei che non hanno bisogno di imparare niente da nessuno, caratteristiche di cui ci si può liberare solo emigrando in tempo...Ma alla fine il lavoro era immane, la curiosità di rileggere il libro, di cercare su internet tutto su Tomasi di Lampedusa, di cercare i luoghi in cui è ambientato il romanzo etc, ti hanno fatto perdere tanto tempo e non buttare giù nemmeno due righe.

Sarà che per ora sei così incavolata con la tua città che si riempie di immondizia, si svuota di turisti, vive di disoccupazione, si allaga e frana con un pò di pioggia, ha un sindaco che oltre il resto, gode anche di un “mozzo” pagato a spese nostre (vedi Striscia la notizia) e ti domandi se devi parlare di queste cose o tenerle nascoste perchè ti vergogni un pò (anche se non l’hai votato), ed in più vorresti promuovere il turismo in una città che lo meriterebbe e non è certo parlando di sporcizia e allagamenti il modo migliore per farlo, ma non sai proprio far finta di niente.

foto da internet

Insomma, credo di aver vagliato i miei perchè, e così ho scritto pure un post, sapendo che presto ritroverò la mia ispirazione e la mia voglia di raccontare ancora di tutto ciò che mi circonda, sia il il brutto che sopratutto il tanto bello che c’è.





Un saluto a Le Francbuveur che con il suo commento mi ha aiutata a scrivere questo post

martedì 8 settembre 2009

Lieve terremoto a Palermo

Stamattina mi sveglio e accendo subito il computer come faccio sempre, per vedere se sono arrivate prenotazioni o richieste via e-mail, per leggere le news, un occhiata al blog, etc.

Invece l’unica e-mail che ricevo è di Palermo-bloggalo, tramite facebook, che mi informa che stanotte c’è stata una scossa di terremoto di magnitudo 4.0 della scala richter a Palermo, per fortuna senza danni a cose e persone, ma la cosa fa sempre un certo effetto.

Molte persone l’hanno percepita, noi non abbiamo sentito nulla.
Alle 23.30 (ora della scossa più forte) eravamo nella grande nuova piazza che hanno costruito di fronte al Tribunale, una piazza tutta color cemento, con poco verde ma con molte panchine, che è diventata un punto di aggregazione per tante persone.
Noi eravamo lì a chiacchierare con un caro amico, mentre poco distanti, dei giovani giocavano a hockey sui pattini, cosa che ci aveva affascinati e divertiti.
Su quella grande piazza e in più presi da una discussione molto interessante, non abbiamo avvertito nulla, per fortuna perchè non è certo una bella esperienza.
Ma stamattina questo risveglio è stato strano.

Il pensiero è andato subito all’Abruzzo, alle tante persone che ancora soffrono le conseguenze del terremoto. Il pensiero è andato a L’Aquila e poi alla mia città. Il pensiero è andato sulle persone che amo, sapevo che non c’erano stati danni, ma un giretto di telefonate...

giovedì 3 settembre 2009

"Il viaggio" o "l'acchianata" al Santuario di Monte Pellegrino.



Ho già raccontato la Festa più importante per i palermitani, il Festino di Santa Rosalia che si celebra il 15 Luglio.

Ma la devozione che la Santuzza ispira nei palermitani è tale che le è riservata un’altra importante festa per la data che ricorda la sua morte (il 4 Settembre del 1160): “il viaggio” o “l’acchianata” (salita) al santuario di Monte Pellegrino, il bellissimo promontorio sul golfo di Palermo, dove furono trovati i suoi resti.


L’acchianata al santuario avveniva nel passato e avviene ancora oggi (certo con minore coinvolgimento popolare), la notte tra il 3 e il 4 settembre per celebrare “l’ascesa al cielo” di Santa Rosalia. Era un vero pellegrinaggio dove come in tanti altri momenti di religiosità popolare, si mischiava il sacro al profano.



C’erano atti di grande devozione, in un misto di cattolicesimo e paganesimo, come l’acchianata in ginocchio, la benedizione dell’acqua, i voti e i doni (soprattutto gioielli e oggetti d’oro e d’argento) portati alla Santa, e momenti di divertimento e svago. La gente coglieva l’occasione del pellegrinaggio per fare una bella scampagnata, dove non mancavano le solite abbuffate.

Il Pitrè racconta di feste indimenticabili, nelle quali ondate di palermitani danzavano e cantavano accompagnati dai violini e dalle chitarre dei cantastorie, e soprattutto mangiavano e bevevano. Alcuni devoti salivano al santuario con asini o muli noleggiati alle falde del monte, i più impavidi a piedi.

Mi ha fatto sorridere (con una certa amarezza) la sua testimonianza riguardante l’attitudine dei miei concittadini a “ingrasciare” (sporcare) tutto ciò che li circonda, cattiva abitudine che ha quindi lontane origini. Scrive infatti in due passaggi: “...dato mano alle stoviglie portate fin lassù pel desinare, le si scaraventano per gioia su’ sassi o le si precipitano da un dirupo...” E poi “ ...Se altre stoviglie rimase danno impaccio, queste son buttate via senza ritegno...”
E’ evidente che la “lagnusìa” (pigrizia) dei palermitani è atavica, troppa fatica a portarsi indietro le stoviglie, meglio lanciarle sui sassi “per divertimento” o forse “per augurio” (come il riso sugli sposi).

Così il povero promontorio, che Goethe definì il più bello del mondo, già dal 1600 è abituato ad essere così trattato ed ancora oggi le stoviglie, che adesso sono dei bei servizi di piatti e bicchieri di plastica, fanno da ornamento alle pinete e alle caratteristiche pale di ficodindia.

Questa festa ebbe origine nel 1625, l’anno in cui furono rinvenuti i resti di Rosalia.
Poco dopo il Senato palermitano decise la costruzione di un santuario.



I lavori cominciarono nel 1625 e gia nel 1629 venne inaugurata la Chiesa (all’epoca evidentemente si era più rapidi in questo genere di iniziative, oggi per riparare una strada ci mettono anni e anni).



Poco dopo cominciarono anche i lavori per la costruzione di una via d’accesso al santuario “la scala nuova” che poteva permettere con più agilità il pellegrinaggio della notte tra il 3 e 4 settembre. Questa scalinata ha permesso l’accesso al monte fino al 1924 anno in cui fu realizzata una strada percorribile in auto. I più devoti però ancora oggi continuano a utilizzare le scale antiche, almeno nelle ultime rampe, per avvalorare la propria devozione.


Il Santuario di Santa Rosalia è un luogo molto suggestivo.


La facciata seicentesca è addossata alla roccia, poichè la Chiesa è realizzata all’interno della grotta. Vi è uno spazio adibito all’esposizione di tutti i doni fatti dagli ex voto, e poi una cancellata da cui si entra nella grotta.

Tutte le pareti sono coperte da tegole di metallo che incanalano l’acqua che fuoriesce dalle fenditure della grotta, che viene raccolta e posta nelle acquasantiere (e venduta nelle bancarelle con la promessa di ottenere sicuri miracoli).



Poco distante dall’ingresso vi è una teca di vetro contenente la statua della santuzza coricata in un baldacchino, coperta da un abito d’oro e adornata da collane e gioielli di ogni tipo, donati dai devoti (e spesso rubati negli anni da coraggiosi ladri che non hanno temuto né la legge, né le ipotetiche sventure che la santa avrebbe loro inflitto).



Tutta l’ambientazione è di grande fascino e suscita emozioni e sgomento, l’acqua gocciolante, le pareti di roccia, il fresco umido, il silenzio, gli oggetti d’argento donati che spesso rappresentano cuori o arti dei miracolati (piedi, mani etc, che fanno una certa impressione) . Ricordo che soprattutto da bambina venivo percorsa da un brivido nell’entrare in questo luogo, una sorta di strana paura e di attrazione, sensazioni che a volte suscitano quei luoghi dove è palpabile la spiritualità mista alla superstizione.


All’esterno del santuario ci sono tante bancarelle dove si possono acquistare tutti i tipici gadget religiosi, statuine, candele,

bandierine, acquasantiere, etc.


Un’altro luogo degno di nota sul meraviglioso Monte Pellegrino (che gli arabi chiamavano Geber Grin), è la statua sulla cima del monte, visibile a tutti i navigatori e soprattutto agli emigranti che tristemente lasciavano la loro città e confidavano nell’aiuto della santa per fare fortuna in lidi lontani. Adesso la statua è adornata da scritte che proclamano “amori eterni” di giovani sconosciuti, e fedi e odi calcistici.


Io non ho mai avuto l’occasione di fare l’acchianata notturna del 3-4 Settembre, ma ho percorso a piedi le rampe del Monte Pellegrino, ed è davvero una bellissima passeggiata tra i boschi con una vista meravigliosa (se non fosse per quel pò di immondizia a smorzare il troppo entusiasmo).




Sicuramente se si fa una visita nella mia bellissima città, può essere molto bello fare un “viaggio” su questo monte che sembra un grosso animale che si riposa in riva al mare e nel suggestivo santuario. E’ un viaggio nella natura, ma anche nell’anima di questo “popolo” e nelle sue tradizioni.
Foto di Judy Witts e Jan-Luc Moreau
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