mercoledì 11 agosto 2010

A Palermo quali nomi si danno ai figli?

A Palermo, ma credo anche in gran parte del sud Italia, ci sono delle particolari usanze legate alla nascita dei figli. Come tutte le tradizioni anche queste sono sempre meno radicate nelle famiglie di oggi, ma fino ad alcuni anni fa si trattava di schemi dai quali era quasi impossibile fuoriuscire o almeno fuoriuscirne integri.

La questione centrale girava tutta intorno al nome da dare ai propri figli. C’erano ed in parte ci sono ancora oggi delle regole tassative da seguire, regole che per chi le applicava si incentravano tutte intorno a un concetto: “u rispiettu” (il rispetto), che è il valore principe o forse un atteggiamento sul quale si fondano le relazioni familiari, che non ha solo a che fare con l’amore, la considerazione, la tolleranza, ma in questo caso, nella sua declinazione sicula doc, anche con la conservazione delle tradizioni, con un certo perbenismo ed anche un pizzico di paura...
“Bisogna purtari rispiettu” . E’ una frase, un dettame da seguire per evitare "sciarre" (liti) e "schifiu" (trambusti).

Nel caso del nome da dare ai figli la regola è quella di dare ai primogeniti i nomi dei nonni paterni (che siano maschi o femmine) e ai secondogeniti quelli dei nonni materni, così alcune famiglie “erano costrette” a procreare anche quattro o cinque figli per accontentare un po’ tutti, certo se ad esempio nascevano tre maschi e una femmina si era fregati, perchè la nonna materna non aveva la nipotina con il proprio nome e bisognava accontentarla), ma in compenso si aveva la possibilità di scegliere un “nome moderno” per il terzo maschietto, così magari c’erano quattro fratellini, Salvatore, Carmelo, Assunta e ... Kevin!

Se non si fosse seguita questa regola i nonni si sarebbero offesi pesantemente, avrebbero tolto il saluto, o mostrato dolore e sofferenza estrema, la colpa imputata ai figli sarebbe stata quella di "mancanza di rispiettu", con relativa onta e vergogna dinanzi a tutto il parentado, imbarazzi generali, pubblica gogna (fatta di sguardi e sorrisini).
I nonni più comprensivi dopo il perdono, avrebbero dovuto inventare scuse e giustificazioni di vario genere, fingendo di non sentirsi feriti per tale insubordinazione da parte dei figli, ma sentendosi dire alle spalle da altri familiari : “mischinu un ci misiru u so nomi au picciriddu, u chiamaru Andrea, ma chi è stu nomi nordico?” (poveretto non hanno dato al piccolo appena nato il suo nome, lo hanno chiamato Andrea, ma che razza di nome è, sarà forse un nome proveniente dal continente?).

Poteva capitare che i nonni portavano dei nomi ritenuti troppo “antichi” o brutti e così avvenivano cruente liti tra mogli e mariti al presentarsi del lieto evento: “io ci tengo ai miei genitori”, “ma quel nome fa schifo”, “se non mettiamo il nome di mio padre, appena nasce il secondo non mettiamo nemmeno il nome del tuo”, “poi non ci guardano più in faccia” etc, insomma dinanzi alle cliniche si sono spesso rappresentati dei veri e propri drammi familiari.

E poi c’erano i casi in cui tutti i cuginetti avevano gli stessi nomi e cognomi, in una riunione familiare si chiamava uno e si giravano in cinque. In casi simili poteva avvenire un fenomeno, se i nonni si ritenevano già ampiamente accontentati e soddisfatti avendo un primo nipote che portava il loro nome, gli altri nipoti successivi (figli di altri figli) potevano avere dei nomi diversi ed era un gran sollievo per tutti.

Un altro modo per non contravvenire alla regola del rispetto, ma poter avere la possibilità di scegliere in parte i nomi per i propri figli, era l’uso del “secondo nome”.
Se i nonni erano supercomprensivi si sarebbero accontentati di sapere che il nipotino portava il loro nome come “secondo nome”, quindi per esempio una neo nata si sarebbe potuta chiamare Sharon, Filippa Rossi e se qualche parente chiedeva spiegazione si poteva usare la scusa del “secondo nome”, nella maggior parte dei casi però i nonni pretendevano il "primo nome" (quello che compare nei documenti), si poteva accettare l’idea che i nipoti fossero però abitualmente chiamati con il secondo nome “liberamente scelto” è un po’ complicato, lo so, ma è reale, così per esempio ci poteva essere un Antonino, Ivan Rossi che tutti chiamavano Ivan ma che se doveva firmare, si firmava Antonino Rossi (come il nonno) e questo era già gradito “l’anagrafe è sempre l’anagrafe”.

In alcuni casi i neo genitori si lasciavano prendere la mano con i secondi nomi ed in un delirio di fantasia aggiungevano nomi su nomi, così una figlia magari si chiamava Crocifissa, Allison, Chantal, Barbara, Lucrezia, Veronica, Ambra Rossi e se per caso l’impiegato dell’anagrafe si scordava a mettere le virgole a voglia a firmare...

Se i nomi imposti sono quelli dei nonni, i nomi di fantasia spesso seguono le mode, le soap opera, gli attori del momento, i personaggi dei reality etc, così ci sono generazioni di Barbara, di Monica, di Fabio, di Kevin, di Sharon, ma non so perchè c’è un nome intramontabile in alcune famiglie palermitane doc che è Jessica, detto Giaaassica e risulta sempre... molto chic.

Tra tutte queste regole ce n’è una originale, che nessuno che conosco ha mai usato, un’idea megagalattica, superpersonalistica, da ego gigantesco. Si potrebbe chiamare il figlio con il proprio nome che so, magari anteponendo un altro nome, magari... non so..., un “Pier”... ops forse uno lo conosco, si si è quel certo Signor... Gioacchino che ha chiamato il proprio figlio PierGioacchino, che ego che ha quello lì !!!

E se qualcuno si chiederà come hanno fatto i miei genitori a chiamarmi Evelin è una domanda troppo complessa, posso però rivelare che la mia nonna materna dalla quale avrei dovuto prendere il nome (sono secondogenita) si chiamava Teresa, come sua madre, sua nonna paterna (dalla quale prese il nome), casualmente anche sua suocera, le sue cugine e le sue nipoti ed anche una figlia (che doveva prendere il nome della nonna paterna, ovvero la suocera), in realtà anche la seconda figlia (che sarebbe poi mia madre) avrebbe dovuto chiamarsi Teresa come la nonna materna, ma dove si sono viste mai due sorelle con lo stesso nome (uguale poi a quello di mamma e nonne)? Quindi sia mia madre che io siamo due Teresa mancate, ma dopo tutto questo scioglilingua non credete che sia stato un bene interrompere tutta questa omonimia?

E per chi ha avuto tutta questa pazienza ecco una bella foto di Terrasini

giovedì 5 agosto 2010

"Pipi ammuttunati" (peperoni ripieni).



Un avviso prima del post: andate su Blog di Cucina, sulla rubrica "La Sicilia in tavola" c'è una nuova ricetta realizzata da Ginestra, molto adatta per questi giorni di caldo estivo, "La granita di pistacchi".


C’è un ortaggio al quale non saprei mai rinunciare, potrei consumarlo in pochi secondi, crudo, cotto in ogni modo, cucinato secondo ogni versione o ricetta tipica, semplice o elaborato, ad ogni ora del giorno, sfidando qualunque controindicazione ed effetto collaterale.

Sarà il suo nome che mi risulta così simpatico e mi fa sorridere al pronunciarlo, o forse il colore cangiante, acceso, estivo o quel gusto particolare, a volte più dolce a volte più amarostico o leggermente piccantino, premonitore già al primo assaggio di futura indigestione...
il peperone, così bello, così plasmabile!


Come poter creare un orticello e non coltivare le piantine di peperoni? Oltre tutto soffermandosi ad ammirarle con uno sguardo un po’ infantile, con lo stato d’animo predisposto alla meraviglia verso le cose più scontate o semplici, si rimarrà stupiti per le sorprese che possono regalare...
Osservando infatti il fusto così sottile delle piantine dei peperoni appena sviluppatesi, mi domandavo come fosse possibile che potessero sorreggere il peso e la grandezza di un “frutto” grosso come il peperone. Ed invece su quei ramoscelli magri ma forti, sono cresciuti tre peperoni fieri e impavidi, galleggianti in aria come fossero palloncini gonfiabili, in sfida alla forza di gravità. La natura è fatta anche di magia!


Certo le mie piantine non hanno dato vita a peperoni giganti, ma mediamente dignitosi, ne sono nati (al momento solo tre), ma che stupore e che soddisfazioni mi hanno donato!


Quante ricette si possono creare con i peperoni, c’è proprio l’imbarazzo della scelta, dalla peperonata (fritta), all’insalata con i peperoni arrostiti, con la pasta o il riso, sarà per questo che a palermo i “putiari” (fruttivendoli) “abbanniano” (declamano ad alta voce) : “i pipi sunnu megghiu ra carni (i peperoni sono migliori della carne)”. Sono duttili e gustosi!
Ed allora come cucinare i miei primi due peperoni appena raccolti?
C’è una ricetta che per me rimane sempre un simbolo della cucina palermitana doc, che i miei nonni superata l’ottantina di anni consumano abitualmente come fossero un cibo leggero e digeribile, un vero piatto forte della nostra cucina: i pipi ammuttunati (i peperoni ripieni).


Il ripieno può essere di vario tipo, ma il classico ripieno alla palermitana prevede sempre, insieme alla carne macinata, l’utilizzo di uva passa (per conferire il solito contrasto tra dolce e salato), i pinoli (con la loro funzione antibatterica) e “a muddica” (pangrattato), per sopperire alla “scarsezza” di carne. La cottura secondo la versione più tradizionale avveniva tramite l’uso della frittura, i peperoni ripieni si ponevano in una casseruola con olio d’oliva e si “ignranciavano” (soffriggevano lentamente).
Per fortuna che però c’è il forno, all’uso del quale ha abdicato persino mia nonna...
Vero è che i palermitani hanno lo stomaco resistente, ma già partiamo dai peperoni che tra le loro qualità non hanno certo quella di essere facilmente digeribili, poi ci mettiamo dentro tutta questa roba... li dobbiamo anche friggere??? Sarebbe troppo anche per noi, vabè magari una volta ogni tanto....

Ricetta

Ingredienti:
due peperoni, 250gr di carne macinata, mezza cipolla, una manciata di uva passa e pinoli, tre pomodori, 2 cucchiai di formaggio grattuggiato, 4 cucchiai circa di pangrattato, prezzemolo tritato, sale e pepe, olio evo. La quantità di ripieno è sufficiente per 4 peperoni di piccole dimensioni.

Lavorazione:
tritare la cipolla e soffriggerla in olio evo, appena è imbiondita aggiungere la carne macinata, quando è rosolata versare del vino ed evaporare. A questo punto aggiungere la polpa dei pomodori (o anche un po’ di pelato), uvetta e pinoli. Far stringere e spegnere la fiamma. Quando il composto sarà raffreddato aggiungere il prezzemolo, il formaggio ed il pangrattato, deve risultare solido ma morbido, aggiustare di sale.
A questo punto lavare e asciugare i peperoni, togliere la sommità come fosse un coperchio, eliminare i semi e i filamenti interni. Riempire i peperoni con il composto, lasciando un po’ di spazio e “chiudere il coperchio”.


Preparare una teglia con carta forno, adagiare i peperoni e versare poco olio evo.


Infornare quando il forno è già caldo per una mezz’oretta circa, girandoli di tanto in tanto.

Sarà preferibile spellarli prima di mangiarli per evitare che siano ancora più pesanti e che la pellicina possa dare fastidio. Preparate preventivamente del bicarbonato e poi avventatevi sui peperoni!

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