lunedì 28 febbraio 2011

Io e la frittura. E poi Cacocciuli ammuttunati ca tappa i l’ovu.

Io e la frittura abbiamo uno strano rapporto.

I Palermitani sono detti “pariddara” proprio per l’attitudine che hanno ad usare le padelle e soprattutto a riempirle di olio bollente dove friggere qualunque elemento commestibile.
Non riescono a concepire altri tipi di cottura, pur sforzandosi e cercando di abituarsi al poco amato amico forno.

Ricordo che una mia vicina di casa, vera palermitana doc, fece una dieta molto seria, seguita da un bravo dietologo, un professionista. Ma la signora dopo un mese non faceva progressi e la bilancia dava sempre un responso disastroso. Il medico si insospettì e la signora indignata affermò di aver seguito la dieta alla lettera, aveva mangiato solo una fettina di pollo, un pesce, un hamburger etc... il dottore allora non convinto chiese: “ma signora, come li ha cucinati?” e la signora serafica rispose: “fritti, come l’avia a fari!” (fritti, esiste forse un altro modo per cucinarli?)...

C’è mia nonna, altra palermitana doc che ad ottantacinque anni, ha avuto quello che qui chiamiamo “acitu” (acidità di stomaco), così il suo medico curante le ha consigliato di mangiare “ a leggero”, mia nonna affranta, non riusciva a capire il significato della cosa, così mio padre ha tentato di convincerla ad evitare le fritture, ma lei sempre più confusa non concepiva l’esistenza di una cottura alternativa per carciofi, melanzane, uova, carne, pesce, etc, alla fine... ha ripreso a friggere e ha accettato di convivere con l’acidità di stomaco.
Da poco tempo c’è una giovane signora somala che la aiuta in casa; ha subito avuto una bella colite grazie alla salutare cucina di mia nonna, che si è rattristata parecchio, perchè la signora si rifiutava comprensibilmente di mangiare e lei era molto desiderosa di farle conoscere il suo ultimo manicaretto, ovvero i “pipi ammuttunati” (peperoni ripieni e fritti). In un solo mese le aveva fatto assaggiare soltanto: cardi fritti in pastella, pasta con melanzane fritte, cacocciuli impanati e fritti, pasta con le sarde (prima fritte), anelletti al forno, caponata, calamari fritti, crocchè di patate fritte, peperonata, broccoli arriminati, sarde a beccaficco, parmigiana, fegato fritto in agrodolce, fegato ri sette cannuola (zucca fritta in agro dolce), pasta con le zucchine fritte, cotoletta (ovviamente fritta) alla palermitana, sfincione, frittelle di nunnata etc,. Peccato che la signora abbia avuto quel cedimento allo stomaco, mancavano solo i peperoni ripieni e poi si ricominciava da capo!

Ed io che sono palermitana aliena doc, adoro le fritture, ed il mio stomaco palermitano ancora le regge (non certo nelle suddette quantità), però mi rifiuto di friggere, ed il motivo, non è come si potrebbe pensare la salute o la linea (che pure vacilla come l’ago della bilancia), il motivo è olfattivo.
Non amo l’odore della frittura che si posa sui miei capelli, su miei abiti e nelle stanze, e non è che abbia dei mega capelli, abiti griffati o arredamenti lussuosi, anzi, i capelli non conoscono mano di parrucchiere da qualche annetto, gli abiti, soprattutto quelli casalinghi sono di vero vintage (nel senso che sono proprio antichi), e l’arredamento della casa dove abito per ora è composto da una serie di pezzi originali degli anni ’80 racimolati dai miei nonni, quando qualche parente voleva disfarsene, utilissimi per arredare il loro villino...
Eppure io amo proteggere tutto ciò dal puzzo di frittura. Non lo sopporto, mi da il senso dell’unto, se sono proprio costretta a friggere chiudo ogni porta, mi abbiglio da spaventapasseri e mi creo un turbante in testa con un asciugamani, ma non sono mai soddisfatta se non dal punto di vista alimentare.
Eppure, in quanto palermitana, sono stata sempre abituata a frequentare case odoranti di frittura, ad entrare in condomini dove ti assalgono tutti gli unti profumi provenienti dai vari appartamenti, ma è più forte della mia volontà, neanche la mia leggendaria golosità riesce a farmi cedere, io friggo sempre più raramente!
Forse è un aspetto ereditato da mia madre (che però lo fa come contrasto al colesterolo) che non frigge quasi mai, però qualche giorno fa entrando in casa sua sento quel delizioso profumino, capisco subito la trasgressione, ha cucinato i “cacuocciuli ammuttunati ca tappa i l’uovu” (carciofi ripieni col tappo creato con le uova battute), che prima di essere cotti nel sugo vanno fritti, che gioia per il palato, e ogni tanto evviva la puzza di frittura!



Grazie per la pazienza, come premio la ricetta di questi ottimi carciofi molto tradizionali, dal nome particolare; “ammuttunati” significa ripieni, “ca tappa i l’uova” vuol dire che il carciofo viene tappato utilizzando dell’uovo battuto che successivamente fritto salderà perfettamente tutto il condimento interno.

Ricetta:

Ingredienti: limoni, 6 carciofi, una bottiglia e mezza di salsa di pomodoro, sale, pepe, olio evo (per friggere), 1 uovo. Per il ripieno: 50 gr di formaggio galbanino o simili, 50gr di prosciutto cotto, 1 cipolletta (tipo scalogno), 1 manciata di prezzemolo, 3 cucchiai di pangrattato, 1 cucchiaio di olio evo, uva passa e pinoli, 1 uovo, sale e pepe.

Preparazione: preparare il ripieno unendo a un uovo battuto il pangrattato, galbanino e prosciutto triturati, prezzemolo, un cucchiaio d’olio, uvetta e pinoli, cipollina tritata, sale e pepe.

Pulire i carciofi togliendo le foglie esterne più dure, e tagliando le punte con le spine.

Ci sono due versioni di questo piatto, la prima e più tradizionale si fa con i carciofi interi, la seconda più povera consiste nel tagliare il carciofo in due parti da riempire col ripieno, la definisco più povera perchè in questo caso si abbonda di ripieno ed il carciofo diventa più voluminoso. Qui faremo la seconda versione, dividendo quindi il carciofo a metà, togliendo la barbetta interna.



Pulire i carciofi strofinandoli con i limoni, senza bagnarli con acqua. Riempire i mezzi carciofi con l’impasto appena fatto e pressarli. Battere un uovo in un piatto. In una padella far scaldare l’olio, a questo punto con un cucchiaio versare dell’uovo battuto nel carciofo (nella sua parte ripiena) e friggerlo in padella facendo attenzione a non far fuoriuscire il ripieno.



Friggere tutti i mezzi carciofi e mettere da parte.

Nel mentre si dovrà preparare una classica salsa di pomodoro, appena questa raggiunge l’ebollizione versare i carciofi, mescolando delicatamente per venti minuti circa. E poi, buon appetito!

martedì 8 febbraio 2011

I “Tasciogatti”

Conoscete gli “Aristogatti”? Ecco, se quelli li ho potuti osservare solo in televisione e al cinema in versione cartoon, ho invece conosciuto dal vivo i “Tasciogatti”, una banda di gatti così ribattezzati perchè di aristocratico hanno poco o nulla e sono pienamente in stile siculo doc.

Se tra gli Aristogatti c’era la bella, elegantissima e bianchissima Duchessa, tra i Tasciogatti spicca “a-Nica” (trad.:la piccola, che poi è anche il femminile di Niki), una gattina bianca solo in origine, tutta sporca di terra o di polvere, docile e “scantulina” (paurosa), con gli occhi celesti ed un certo affascinante strabismo di Venere, con le forme rotonde o piuttosto un bel “panzonello” (pancione), che alla sola vista di un essere umano, fugge inciampando su se stessa, dimenandosi, scivolando sul pavimento e prendendo strane direzioni.

Se tra gli Aristogatti, l’innamorato di Duchessa era il gatto rossiccio Romeo “er mejo der Colosseo”, tra i Tasciogatti c’è invece “il gattino rosso Niki” il “toco di Terrasini”. Niki in realtà è nato alla Molara, una borgata di Palermo, ma si è ben presto ambientato nella campagna di Terrasini, dove ha trovato tanti amici e anche qualche zecca... Niki si è subito fidanzato con “a-Nica” detta anche “a-Zita” (la fidanzata) proprio per questo legame amoroso che da due mesi li coinvolge.

Tra i Tasciogatti c’è anche “U-gattaruni”, che poi ho scoperto essere una gatta femmina. E’ grossa, tigrata, scura, pelosa, miagola come fosse un conato di vomito, ed ha la faccia da boss della zona. Poi c’è “Il-gattaccio”, un gatto bianco e grigio che fa sempre terrorizzare il gattino Niki, poi c’è “U-russu-pilusu” (il rosso con pelo lungo), che si fa vivo di tanto in tanto, guardandosi intorno con circospezione, e poi ci sono altri esemplari, sempre randagi, sempre di vari colori, sporchi e affamati (malgrado la grossa stazza non lo dimostri).

I Tasciogatti hanno cominciato a radunarsi. Il giardino di Niki è diventato luogo di curiosità di tutto il resto della banda. Si aggirano studiando il modo per aprire un sacchetto dell’immondizia incautamente lasciato fuori, per trovare qualcosa di appetitoso nella compostiera (recuperando solo bucce di patate e frutta), e soprattutto per fare una bella visita di cortesia ad un altro abitante del luogo, l’uccellino verde Wurt che, ignaro di tutto questo movimento felino, sta nella sua gabbietta a godersi le belle giornate...

Qualche giorno fa i Tasciogatti si sono organizzati per far festa. Come avviene nelle migliori famiglie, quando i genitori si assentano per lungo tempo da casa, i figli adolescenti approfittano per invitare clandestinamente gli amici e divertirsi, anche se in questi giorni stiamo appurando che le feste (anzi i festini) più che gli adolescenti le fanno gli ottantenni (però con le minorenni, per abbassare l’età media), comunque torniamo ai gatti che è meglio.
Così un giorno, i genitori umani di Niki “il toco di Terrasini”, tutti fiduciosi, hanno deciso di uscire e mancare diverse ore da casa, lasciando Niki ronfante nella sua poltrona preferita. Fuori pioveva, tutto taceva. La porticina basculante che hanno costruito perchè il dolce micino potesse entrare e uscire autonomamente, era libera da altri ostacoli.

Quando Niki si è svegliato dal suo ozio quotidiano, ha accertato che c’era la casa vuota, la pioggia, il freddo, ha forse sofferto? No di certo, ha piuttosto pensato: “evviva, ho casa libera, oggi festazza (grande festa)!!!”.
E così Niki è uscito ha trovato due amiche, la fidanzatina “a-Nica” e la più adulta “u-Gattaruni”, e ha detto loro: “ picciò (ragazzi), i miei sono fuori, venite a casa mia, facciamo un croccantini-party, un salmone-aperitivo, un copertinadilana-day, un divano-dance!!!” . E per fortuna non ha detto “bunga-bunga” che poi mi incavolavo veramente... ma d’altra parte lui è un tasciogatto, è giovane, non è ricco, anzi è pure un gatto-comunista, quindi preferisce altri svaghi...

Per farla breve i Tasciogatti si sono riuniti in casa, sono entrati dalla porticina basculante (della quale hanno subito capito il sistema di apertura), complice il “leader minimus Niki”, hanno fatto piazza pulita di tutto ciò che di commestibile ci fosse nella stanza, e per il resto cosa abbiano fatto non lo so, perchè ancora i gatti non hanno la tecnologia adatta per fare foto osé da vendere sotto banco, o video compromettenti con cui ricattare, e non hanno telefoni da intercettare, oltretutto non hanno lasciato alcuna prova nè di tipo visivo nè olfattivo (per fortuna!!!).

Non appena i Tasciogatti hanno sentito il rumore dell’automobile, il giovane Niki ha detto: “picciò scappiamo, sono arrivati i miei!!!”, per non farsi sgamare (notare) è uscito per primo, festoso, con atteggiamento di grande accoglienza nei confronti dei genitori umani, seguito a ruota da “u gattaruni” scura e mimetizzata nel buio della sera, con passo felpato, rapido ed indifferente, soltanto “a-Nica”, che solo in tale occasione è stata poco carinamente ribattezzata “a-Luocca” (la sciocca), non ha ritrovato la via di fuga, facendosi sorprendere in casa, disperata, intenta a salire sulla finestra, miagolando e sbattendo la testa vanamente sul vetro, ha trovato la libertà solo grazie al rapido intervento umano, fuggendo miagolante e con la coda tra le gambe...
Il toco di terrasini pur rimproverato (forse troppo gentilmente) non ha mostrato segnali di pentimento. Come faranno i poveri umani a proibire ai Tasciogatti di entrare nuovamente in casa?
Questo è un mistero da scoprire alla prossima avventura dei Tasciogatti e dei loro amici a due gambe (e due braccia).

Glossario:
Tascio: termine intraducibile, usatissimo dai palermitani per definire vari esemplari umani simili a quelli che in altre parti d’Italia vengono detti tamarri o coatti.
Toco: persona piacente e vincente, anche detta “sbrechis”.
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