Il mestiere di cui parlerò adesso è il fruttivendolo, qui detto “putiaru”, ambulante o statico che sia.
Ognuno a Palermo ha il proprio fruttivendolo “parruccianu”, ovvero fruttivendolo di fiducia.
La parola parruccianu credo derivi da parrocchiano, un paragone ardito che sta ad indicare un negoziante dal quale vai almeno una volta la settimana, quello con il quale puoi confidarti, quello che ti da ottimi consigli, quello che non ti fregherebbe mai.
Ciò che ti offre non è un supporto spirituale, ma di tanto in tanto ti risolleva l’animo, sempre che, nel caso si tratti di un fruttivendolo, non ci si concentri sul salasso rappresentato dal conto finale, spesso molto salato, visti i tempi che corrono.
Il putiaro parrucciano si giustifica dicendo ai suoi parrucciani (anche i clienti prendono questo nome) che lui tratta solo i prodotti migliori, quelli “freschi”, quelli “buoni”, quelli raccolti nelle vicine campagne, soltanto la frutta che magari ha il verme dentro ma che è dolcissima, la sua anguria sarà di certo matura, ed i carciofi esclusivamente di Cerda, l’aglio non è mai cinese, etc. E così tutto soddisfatto il cliente torna a casa con lo stipendio dimezzato.
Alcuni fruttivendoli vengono definiti “giovenco”. Sono quelli costosissimi, che vendono le primizie, anche se ormai è difficile riconoscerle e trovarle, perchè tutti i tipi di frutta e ortaggi si trovano in ogni periodo dell’anno. Ma quando non era ancora così, c’erano dei fruttivendoli specializzati nel vendere i primi frutti di stagione, che erano molto desiderati ed attesi e quindi costavano tantissimo.
Mi domandavo l’origine del termine giovenco (usato dai meno giovani), alla fine ho scoperto che Giovenco era il cognome di un fruttivendolo che si trovava tanti anni fa al centro di Palermo (oggi rimane solo l’insegna), che era appunto tra i più cari e tra i più forniti di primizie.
Quando a Palermo si va dal fruttivendolo, soprattutto nei mercati, e magari non dal proprio parrucciano, ma da uno sconosciuto, c’è da affrontare un dilemma.
“Si può scegliere ciò che si desidera, e ancora di più si può toccare la merce?” . E’ pur vero che esistono clienti molto esigenti, che non chiedono semplicemente la merce che desiderano, ma guardano con perizia le cassette e segnano con convinzione al fruttivendolo ogni singolo pomodoro, mela, carciofo etc, perchè scelgono “a simpatia”. Ma ancora di più ci sono clienti che per acquistare devono necessariamente fare il “test tattile”, ovvero toccare con mano frutta e ortaggi per valutarne scientificamente la giusta maturazione.
Dinanzi a queste azioni ci sono differenti reazioni.
Si può incontrare il fruttivendolo tollerante che dice: “signura sa scigghissi lei” (signora la scelga da sé, così è più contenta), ma si può rischiare di incappare in quello che reagisce con vera ira, perchè se c’è una cosa che i fruttivendoli proprio non sopportano è l’aver palpata la propria frutta dai clienti occasionali, quelli che ti rovinano la merce ammaccandola tutta e magari alla fine se ne vanno senza comprare nulla. A chi invece indica la frutta senza toccarla, magari è capitato che rispondano: “se vuoli chidda, s’avi a pigghiari puri chista e chista” (se vuole quella da lei prescelta, ora deve comprare anche l’altra che io le impongo). Ciò avviene perchè il fruttivendolo generalmente quando prepara il “coppo” (involucro di carta avvolto a forma di cono utile a contenere frutta), veloce come un prestigiatore prende alcuni frutti dal fondo della cassetta, quelli meno buoni, “purriti” (marci) e brutti, e li nasconde sotto altri frutti bellissimi esteticamente e buoni, che preleva dalla parte più esposta della cassetta.
Se quindi si ha l’ardire di sconvolgere questa pratica, e di rovinargli l’affare, lui potrebbe adirarsi tantissimo ed importi a quel punto la sua volontà, e se capita un fruttivendolo robusto non si ha altra scelta, se non dileguarsi in fretta.

Per tutti questi motivi è preferibile avere il putiaru parucciano, così non servirà nemmeno scegliere, perchè sarà lui ad offrire solo i prodotti migliori, e lo si rende felicissimo con poche frasi tipo “ me la scelga lei che è un esperto” oppure “io mi fido solo di lei che mi da sempre roba buona”.
Il fruttivendolo dei mercati “abbannia” la sua merce, la pubblicizza con slogan, chiama le signore attribuendo nomi inventati tipo “signora Maria”, invitandole a “taistare” (assaggiare) un frutto per testarne la bontà, ripete litanie e cantilene, urla e allunga tutte le vocali delle parole tipo “accaaattaaativiii iii paataaatiii” (comprate le patate), oppuure “a voooliii unaa trizzaaa r’agghiiiaaaa” (vuole una treccia d’aglio) etc. Questo rende ancora più belli e caratteristici i nostri mercati. Ma questo aspetto merita un post a parte.
Ma un’altra cosa molto caratteristica dei fruttivendoli palermitani è il loro fast food. Nel pomeriggio infatti è possibile, che nelle putie (negozi) di frutta e verdura, appaiano dei grossi pentoloni di rame o di stagno fumanti, che contengono ortaggi vugghiuti (bolliti), come le patate, la fagiolina (fagiolini), i carciofini domestici, lasciati ammollo a tanta acqua calda. Sono spesso anche esposte delle teglie da fornaio dove sono disposte ordinatamente le cipolle infornate o i peperoni.
Per i palermitani è immancabile andare dal fruttivendolo e ritirarsi senza le proprie patate vugghiute e cipolle infornate. Sono necessarie per fare una bellissima insalata vastasa (volgare, grezza), contorno apprezzatissimo per ogni cena in famiglia.
Bisogna dire che le patate vugghiute del putiaro hanno un sapore del tutto diverso da quelle fatte in casa, sono buonissime, profumate, la cottura è perfetta, a volte i veri palermitani doc non riescono a tornare a casa senza averne addentata una per strada. Qual’è il segreto? Ho chiesto al mio parrucciano e mi ha risposto che a parte il pentolone stagnato, il vero segreto è la quantità di patate che si fanno bollire e “udite udite”, l’acqua sporca (per la gran mole di patate coperte di terra). Da noi non esistono tabù sull’igiene, è il venditore stesso ad ammetterlo con orgoglio!
Ecco la semplicissima ricetta dell’insalata “vastasa” alla palermitana: patate vugghiute (pelate e tagliate a pezzi), cipolla infornata (precedentemente sbucciata ed affettata grossolanamente), pomodori rossi tagliati a spicchi, fagiolini vugghiuti, olive verdi o nere, olio extravergine d’oliva (abbondante), aceto, sale e pepe. E’ una vera goduria, velocissima da preparare quando sono ormai le otto di sera e non si hanno ancora idee per la cena.. Certo il risultato è ideale se i componenti sono quelli comprati già cotti dal fruttivendolo, in mancanza, si potranno preparare in casa, e se ci vuole troppo tempo per fare le cipolle infornate, si potranno usare crude, magari dopo averle spremute col sale e sciacquate, per renderle più digeribili.
Le patate vugghiute, se si volesse rinunciare all’insalata, sono ottime anche “a stricasale”, pelate e semplicemente intinte in un po’ di sale, adatte per l’ipertensione...
p.s. Un saluto a Fabio, il nostro parrucciano grazie al quale adesso mangiamo molta più frutta!